1. Alpeggi della Raschera
(Comuni di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Magliano Alpi)
L’area compresa tra Marguareis, Mongioie e Mondolè è uno dei più vasti complessi pascolivi della provincia di Cuneo. Gli alpeggi di interesse storico cui si fa qui riferimento, sono quelli estesi per 878 ha nei territori comunali di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana e Magliano Alpi. La significatività delle aree considerate risiede nella complessità storica dei processi di attivazione delle risorse foraggere in un’area di convergenza di sistemi plurimi di transumanza. Si tratta di aree con una elevata persistenza di una flora molto ricca, legata a processi di biodiversificazione indotti dalle pratiche pastorali. L’integrità di questi pascoli è stata, in passato, limitata dalla costruzione delle piste da sci della Val Casotto (Frabosa e Garessio), da attività di cava (ora dismesse), da lavori di captazione di risorgive per la costruzione di acquedotti. Il paesaggio degli alpeggi della Raschera si mantiene oggi sostanzialmente integro. Il merito è da ricercarsi nella continuata attività d’allevamento e nel pascolo all’aperto, anche se sicuramente con carichi di bestiame molto ridotti rispetto al passato. Oggi l’allevamento predominante è bovino, con esemplari di razza piemontese, ma sono presenti anche popolazioni autoctone ovine di razza frabosana e brigasca, e anche caprini. Sotto l’aspetto della vulnerabilità si ribadisce che l’ecologia di questi alpeggi storici è legata alla continuità di uso, fondamentale per perennizzare i paesaggi pastorali e le loro risorse.
2. Altopiano della Vauda
(Comuni di Front, Vauda Canavese, San Carlo Canavese, Nole, San Francesco al Campo, Lombardore, Rivarossa)
L’altopiano della Vauda si estende per circa 3136 ha. Oltre alla persistenza storica la significatività del paesaggio della Vauda è dovuta alle ampie estensioni di incolto, legate alle caratteristiche pedologiche dei suoli, piuttosto impermeabili e non favorevoli, per larga parte, ad un’agricoltura intensiva. L’area delle Vaude presenta una notevole integrità, non soltanto sul fronte della conservazione di ampie e diffuse estensioni di incolto, mai intaccate da una marcata antropizzazione, ma soprattutto sul piano di una notevole omogeneità nel sistema di gestione di queste terre, nel quadro di una misurata integrazione, consolidata attraverso i secoli e di fatto ancora oggi molto ben leggibile, tra superfici prative, boschive, e coltivate, nel quadro di un sistema di piccola e media proprietà, esito di un’arcaica frammentazione della terra che contraddistingue sin dall’età medievale queste zone. L’istituzione, nella prima metà del XIX secolo, del campo di esercitazioni militari, pur segnando un’intrusione di notevole impatto sul territorio e limitandone l’accessibilità, ne ha preservato le caratteristiche distintive, impedendo l’espansione del nucleo urbano e la trasformazione agricola. La vulnerabilità dell’area è dovuta alla progressiva dismissione dei beni demaniali, che rischia di favorire speculazioni immobiliari.
3. Baraggia vercellese e biellese
(Comuni di Fontaneto d’Agogna, Romagnano Sesia, Ghemme, Cavallirio, Cavaglio d’Agogna, Sizzano; Candelo, Cossato, Mottalciata, Benna; Masserano, Brusnengo, Gattinara, Roasio, Rovasenda, Lenta, Lozzolo)
La Baraggia vercellese e biellese si estende per circa 3000 ha tra le provincie di Vercelli e di Biella; non si tratta di un’area continua, ma di sei aree sparse, che corrispondono all’area della Riserva naturale orientata delle Baragge. La Baraggia di Piano Rosa interessa i comuni di Fontaneto d’Agogna, Romagnano Sesia, Ghemme, Cavallirio, Cavaglio d’Agogna e Sizzano. La Baraggia di Candelo, di 604 ha, interessa i comuni di Candelo, Cossato, Mottalciata e Benna. La Baraggia di Rovasenda, un’area di 1760 ettari, si trova nei terreni comunali di Masserano, Brusnengo, Gattinara, Roasio, Rovasenda, Lenta e Lozzolo. La significatività dei terreni baraggivi è dovuta al fatto che questi costituiscono un esempio storicamente persistente della gestione del cosiddetto “incolto”. Dal pascolo allo stato semibrado di caprini, ovini, bovini e suini, alla raccolta di foglie, brugo, legna secca, castagne, noci e funghi, alla gestione dei cedui e al taglio programmato delle piante d’alto fusto, sono numerose le prassi di gestione attuate nei secoli. Dal punto di vista della vegetazione la baraggia si configura come una brughiera punteggiata da esemplari isolati o a gruppi di latifoglie, risultato della gestione agro-silvo-pastorale storica portata avanti attraverso la pratica del debbio (incendio), dei diboscamenti e dei dissodamenti. La componente arborea è costituita soprattutto da piccoli gruppi a farnia, rovere e betulla, cui si affiancano, in corrispondenza zone umide, ontani, salici e sambuchi, anche se in passato erano frequenti castagni e noci. All’inizio del XX secolo la bonifica ha portato alla conversione di molti terreni baraggivi in risaie, dove oggi si coltiva il “Riso di Baraggia biellese e vercellese” DOP. L’integrità del paesaggio delle baragge è limitata ad alcune zone, in particolare a ridosso delle preesistenti installazioni militari, che ha portato, di fatto, alla conservazione di settori più o meno ampi. La vulnerabilità dell’area è molto elevata e già molto del paesaggio storico è andato perso. La bonifica agricola e le successive opere antropiche hanno modificato notevolmente il patrimonio floristico e causato un impoverimento delle specie legate all’habitat della baraggia.
4. Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino
(Comuni di Trino, Ronsecco)
L’area di studio relativa al Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino si estende per 1520 ha. La significatività dell’area è legata ad una molteplicità di elementi connessi principalmente alla persistenza storica della forma di gestione comunitaria legata alla Partecipanza. Il bosco è una formazione mista di querco-carpineti e in minor misura alneti, strettamente collegata alle risaie circostanti, che, influenzando il livello della falda idrica anche all’interno del bosco, favoriscono ristagni di acqua temporanei. E’ indubbio che le particolari modalità della gestione collettiva sono il motivo per cui il bosco fu sottratto allo sfruttamento agricolo che caratterizza l’area del basso Vercellese. Nelle risaie che circondano il bosco si producono i “risi tradizionali della Valle del Po” riconosciuti come Prodotti Agroalimentari Tradizionali dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Il Bosco della Partecipanza di Trino conserva sicuramente la sua integrità, non solo dal punto di vista dell’estensione. La fruizione da parte dei soci-partecipanti prevede che ogni anno una particella venga sottoposta al taglio, dopo essere stata suddivisa in un determinato numero di aree minori, “sorti” o “punti”. I partecipanti sono chiamati a estrarre a sorte uno dei “punti”, da cui “Bosco delle Sorti”. È evidente che il bosco rappresenta un lascito storico di una forma di proprietà (quella collettiva) oggi considerata residuale. Al momento attuale non sembra ci siano elementi di vulnerabilità e di minaccia concreti.
5. Cascina San Michele
(Comune di Bosco Marengo)
Il paesaggio delle cascine dell’alessandrino occupa il comprensorio pianeggiante e di origine alluvionale compreso tra i corsi del Bormida, Tanaro, Orba e Scrivia. L’area della Cascina San Michele si estende per circa 236 ha. La significatività dell’area risiede nella persistenza storica di una delle tipiche cascine della pianura alessandrina, sia come ordinamenti colturali, prevalentemente volte alle colture cerealicole e di mais, sia come strutture aziendali. La sua esistenza è testimoniata almeno fin dal tardo Medioevo: la sua appartenenza ai cistercensi, più volte ribadita dalla storiografia locale, è confermata da documenti del XII secolo. Dopo il 1580 la possessione di San Michele risulta già organizzata come una grande azienda agraria. L’ubicazione del fabbricato civile è conforme alla tradizione architettonica e agronomica tardorinascimentale che suggerisce di rivolgere l’edificio verso oriente. L’integrità della cascina è legata principalmente al fabbricato e al mantenimento della attività agricola, a fronte delle crescenti difficoltà del settore palesatesi negli ultimi decenni. La famiglia proprietaria abita e coltiva il fondo e provvede alla manutenzione sia degli edifici storici sia degli impianti più moderni quali stalle ed essiccatoi per cereali. La vulnerabilità dell’area è soprattutto legata ai rischi di cambiamenti degli ordinamenti colturali che nel tempo hanno già compromesso la struttura originaria del paesaggio agrario.
6. Pascoli arborati di Roccaverano
(Comuni di Olmo Gentile, Roccaverano, Mombaldone, Serole)
L’area selezionata è una zona scelta fra i pascoli che si estendono per gran parte delle porzioni meridionali delle province di Asti e di Alessandria. Si estende per circa 1098 ha. La significatività dell’area risiede nella persistenza storica di un paesaggio costituito da ampi pascoli aperti, creati da secoli di pratiche agro-silvo-pastorali, localizzati prevalentemente nelle parti sommitali delle colline, mentre i versanti più ripidi, caratterizzati da numerosi terrazzamenti, sono oggi destinati quasi esclusivamente alla viticoltura o al prato-pascolo. La Denominazione di Origine Protetta della Robiola di Roccaverano è stata riconosciuta nel 1996, e costituisce oggi anche un Presidio Slow Food. La codificazione di tale produzione locale ha in parte rafforzato le pratiche agricole nell’area di produzione del formaggio e in parte le ha modificate per rispondere ai criteri dettati dalla DOP. L’integrità dell’area si mantiene buona: difatti, nonostante a partire dagli anni Sessanta si sia assistito a un costante spopolamento, il bosco e l’incolto non hanno del tutto sopraffatto le aree dedicate al pascolo. La minaccia principale per il paesaggio dei pascoli del Roccaverano deriva essenzialmente dall’abbandono delle attività tradizionali legate al pascolo. La riduzione degli interventi agricoli ha causato un impoverimento di alcune specificità floristiche caratterizzanti questo paesaggio rurale.
7. Policolture storiche della Valle Uzzone
(Comuni di Castelletto Uzzone, Pezzolo Valle Uzzone, Levice)
Le aree delle policolture tradizionali della Valle Uzzone si estende per circa 939 ha. La significatività dell’area risiede nella persistenza storica delle policolture, che vanno a definire un paesaggio caratterizzato da piccole tessere agricole, alternate ad aree boscate e a spazi aperti, in perfetto equilibrio, in un contesto caratterizzato da insediamenti storici e terrazzamenti dei versanti. Sono diffusi cereali, orti, noccioleti, vigne e frutteti, e si producono robiole, uova, castagne seccate e lana di pecora. Si pratica anche l’allevamento di poche vacche, con triplice attitudine (latte, carne e lavoro), animali da cortile, pecore e capre portate al pascolo nei gerbidi. Queste attività hanno consentito la sussistenza della popolazione locale, anche in condizioni politicamente ed economicamente avverse. Il paesaggio della Valle Uzzone risulta essere parzialmente integro e percepibile nella sua identità storica, a eccezione di alcuni tratti del fondovalle nei quali sono sorti alcuni nuovi insediamenti e di non poche aree terrazzate, ormai del tutto invase dal bosco. La policoltura, ancorché semplificata rispetto al passato, è tuttora presente e praticata in molte aree. Le minacce principali vengono dai rischi di abbandono delle pratiche tradizionali, che già si è verificato nelle aree più marginali, e dalle conseguenze derivanti da questo fenomeno.
8. Vigna Galarei
(Comune di Serralunga d’Alba, Diano d’Alba)
L’area della tenuta di Fontanafredda, nella quale si trova la Vigna Galarei si estende per circa 100 ha. L’area risulta essere significativa in quanto, oltre al valore storico della tenuta e delle colture presenti, contiene un lembo di vigneto di interesse storico esteso per soli 0,37 ha e chiamato Vigna Galarei. Si tratta evidentemente di un piccolo frammento, in un contesto territoriale in cui la viticoltura specializzata moderna ha ormai profondamente trasformato il paesaggio, la cui importanza risiede appunto nel suo ruolo di testimonianza storica e nella sua conservazione attuata da una azienda che vanta una grande tradizione. La viticoltura specializzata risulta introdotta in modo sistematico a Fontanafredda solo nell’ultimo trentennio del XVIII secolo: in precedenza l’allevamento della vite era assai diverso, prevalendo il sistema dell’alteno, ovvero la vite maritata di origine etrusca, legata alta sugli alberi. Il paesaggio più antico delle colline di Fontanafredda, quello anteriore al 1864-1865, periodo in cui vennero impiantati i primi filari, era dato da prati, boschi, campi e alteni. La documentazione fotografica del primo Novecento ci mostra invece i filari con i pali di castagno, due fili di ferro e le canne, secondo una delle varianti del sistema Guyot. Filari ancora abbastanza larghi e con piante di frutta in capo e una certa predominanza della policoltura. Oltre ai vigneti, particolare importanza assume la presenza del Bosco dei Pensieri, esteso per 6 ha, attrezzato con un itinerario di visita dotato di punti panoramici e commenti storico-letterari sull’ambiente e il paesaggio langarolo. La vulnerabilità del paesaggio è elevata, e la minaccia principale resta la tendenza a una specializzazione sempre più spinta e che è ben evidente nel paesaggio circostante.