Un piccolo branco di lupi qualche giorno fa risolveva il problema della cena con un gregge di pecore a Maiano, la collina di Fiesole a due passi da Firenze. A seguire, giornali e TV mettevano in grande rilievo lo scandalo del latte usato anche per produrre i nostri formaggi tipici che non si sa da dove viene. Le due cose sono molto legate l’una all’altra e sono il sintomo di un equilibrio ormai saltato nel paesaggio rurale italiano e toscano, che deve la sua fama a delicati equilibri frutto di secoli. Purtroppo il disequilibrio interessa ormai anche il modo in cui le persone lo percepiscono , con conseguenze molto negative. Cerchiamo di capire il perché.
Un piccolo branco di lupi qualche giorno fa risolveva il problema della cena con un gregge di pecore a Maiano, la collina di Fiesole a due passi da Firenze. A seguire, giornali e TV mettevano in grande rilievo lo scandalo del latte usato anche per produrre i nostri formaggi tipici che non si sa da dove viene. Le due cose sono molto legate l’una all’altra e sono il sintomo di un equilibrio ormai saltato nel paesaggio rurale italiano e toscano, che deve la sua fama a delicati equilibri frutto di secoli. Purtroppo il disequilibrio interessa ormai anche il modo in cui le persone lo percepiscono , con conseguenze molto negative. Cerchiamo di capire il perché.
I lupi sulla porta di casa sono uno dei tanti segni del ritorno della fauna selvatica fino nelle aree urbane, dando al nostro paese e alla Toscana molti svantaggi e pochissimi vantaggi. Va di pari passo con l’aumento da 4 a 11,5 milioni di ettari di boschi (in Toscana + 30%), e in totale 12 milioni di ettari in meno di aree coltivate. Slow Food, Lega Ambiente, Coldiretti, dicono che il problema dell’agricoltura è la cementificazione (+ 8.000 ettari all’anno, contro + 80.000 ettari all’anno, di natura di “ritorno”), ma ci pare che si siano persi qualche passaggio storico.
Tornando agli amici lupi: chi glielo fa fare di stare ad inseguire un daino per monti e vallate , per arrivare al pranzo? D’accordo, si sta in branco con gli amici e all’aria aperta, ma non si può mica campare sempre così. Molto meno faticoso andare a cercare l’agnello o la gallina nel pollaio dietro casa e fra un po’, vedrete, anche qualcos’altro.
Dato che con l’avanzata del bosco il limite con i coltivi si è molto avvicinato agli abitati (la fauna degli ungulati e predatori ha bisogno di stare sul limite bosco-coltivo) ce l’abbiamo ormai alle porte di casa: 12.000.000 di euro di danni da ungulati negli ultimi 5 anni. Tranquilli, li paghiamo con le nostre tasse #Italianostaisereno. Siamo finalmente nel paradiso proposto dai nostri amici ecologi del nord Europa e del nord America: tanta natura e fauna selvatica, mentre gli uomini finalmente stiano dove devono: in città, così non disturbano più. Come in Svezia o in Canada. Se nessuno se n’è accorto, passando da 5 secoli di storia in cui si guardava ai paesaggi culturali italiani come un punto di riferimento al modello “ritorno alla natura” la leadership è passata a loro anche in questo campo, non solo nell’economia. Si tratta della classica “win win” situation: seduti alla TV vediamo Bambi o Yoghi che scorrazzano felici, poi andiamo al supermercato ad acquistare i nostri prodotti tipici preferiti.
Tutto bene? Non tanto. L’Italia e la Toscana si sono costruite un’immagine basata su un paesaggio rurale in cui l’uomo ha modellato la natura, producendo cibo di qualità e bellezza e in cui il bosco è funzionale all’agricoltura, ed è sempre stato coltivato, quindi utile, non importa che sia tanto. Ci abbiamo messo qualche millennio e un’immane fatica, basta guardare i terrazzamenti in pietra a secco che ancora resistono in tante zone di collina e montagna o castagneti da frutto. La nostra competitività si basa su questo abbinamento, dato che il tentativo di puntare sulla quantità della produzione è stato sconfitto dalla globalizzazione (i soliti di prima) e dobbiamo puntare sulla qualità del cibo abbinata a quella dei luoghi per farcela. Peraltro, negli ultimi 4 anni in Toscana abbiamo perso 23.000 posti di lavoro nell’industria, ma ne abbiamo guadagnati 5.000 nel turismo. Il PIL dell’agricoltura è sceso all’1,8% e quello del turismo è salito al 10,5%, se non ci fossero turisti che vengono nei nostri agriturismi (+14%) non avremmo più agricoltura. E i turisti non vengono certo in Toscana o in Italia alla ricerca di una natura incontaminata, che non c’è, questo lo pensa solo chi ha scritto la parte sui boschi del PIT. Cercano qualcosa che non vedono da altre parti del mondo.
Detto questo, se non abbiamo terra sufficiente da coltivare, da dove vengono le materie prime per i nostri prodotti tipici? Suscita una certa curiosità sentire organizzazioni di categoria, produttori, ministri, richiedere, anzi “esigere” severi controlli sull’origine del latte usato per i nostri “formaggi tipici”, denunciando una situazione “inaccettabile”. Ma dove sarebbero i pascoli necessari a tenere tutte queste mucche e pecore? E anche ci fossero, chi difende le greggi dai predatori? I pastori finirebbero per sentirsi dire come agli agricoltori: recintate i vostri terreni, a vostre spese naturalmente. E poi chi sarà disposto a pagare un prezzo giusto dei prodotti locali?
Abbiamo 200 abitanti per km2 e ogni italiano ha per vivere 5000 m2 di terreno, dei quali oggi solo un terzo è coltivato, mentre abbiamo una impronta ecologica di circa 4,5 ha, cioè il terreno che effettivamente ci serve per il nostro tenore di vita. Non si vive con solo 1500 m2 di terra a testa, ma se provate a rimuovere la vegetazione che ha invaso un campo abbandonato e seminare grano, o rifarci un pascolo, vi arrestano.
Ormai importiamo più del 50% dei cereali, fra cui il grano duro, e lo riesportiamo come prodotto tipico italiano: “la Pasta italiana”, subisce lo stesso procedimento adottato coi nostri formaggi. D’altra parte all’industria agroalimentare basta trasformare il prodotto di base, e poco male se il grano è canadese, il latte tedesco e l’olio spagnolo. Il prodotto italiano costa di più, quindi meglio prendere quello che costa meno e speculare sul differenziale di prezzo. Intanto noi andiamo al supermercato e compriamo, senza mai leggere l’etichetta.
Gli unici che se la vedono brutta sono gli agricoltori, ma sono meno del 4% e politicamente valgono poco o nulla, i voti si prendono in città e lì hanno le idee chiarissime: coltivate pure dove volete ma dateci la pastasciutta a quattro soldi e lasciate in pace natura, i daini, i lupi ecc.. , con buona pace delle vere qualità del nostro paesaggio rurale. Un po’ come avere la botte piena e la moglie ubriaca. Lo sanno anche i politici, ma nessuno vuole perdere voti e il posto e nessuno ha il coraggio di dirlo in TV o sui giornali.
Se, come dice la FAO, dovremo aumentare del 50% la produzione alimentare nei prossimi decenni, temo che andranno fatte delle scelte. Il fatto è che il concetto di “sostenibilità” è spesso dominato da una retorica indigeribile, in cui la realtà viene celata dietro slogan che servono solo a distogliere dai veri problemi.
Fra poco arriva EXPO, ne riparliamo.