Le drammatiche immagini relative alla “migrazione” in atto in Europa e nel nostro paese
suggeriscono un collegamento ardito nella pratica, ma abbastanza logico con le condizioni della nostra agricoltura. Il rilancio del paesaggio agricolo italiano affetto dalla riconquista progressiva di 12 milioni di ettari “rubati” all’agricoltura ed al pascolo dal bosco, lungi dall’essere il fenomeno positivo presentato anche nelle pagine di Repubblica, non è infatti pensabile solo per meccanismi endogeni. E’ necessario invece una grande mobilitazione di esseri umani i cui protagonisti potrebbero invece essere giovani provenienti da paesi dominati dalla miseria e della violenza, disponibili a formare comunità operose dedicate alla produzione agro-alimentare. L’assegnazione di terre incolte a famiglie di immigrati e l’estensione del sostegno economico offerto dalle politiche agricole comunitarie facendone non degli operai sfruttati per pochi euro da un caporalato senza scrupoli, ma degli imprenditori a tutti gli effetti, sarebbe forse una strada percorribile. Non sappiamo, e poco importa, quali sarebbero le posizioni delle organizzazioni di categoria e di quei gruppi politici che sono ostili a qualunque reale integrazione. Saremmo comunque senz’altro in grado di insegnare ai nuovi contadini come realizzare un paesaggio di qualità che in Italia è frutto della storia e di stratificazioni di culture diverse avvenute nei secoli, che si sono incontrate e scontrate sul nostro suolo, spesso in misura molto più potente e violenta di quanto non avvenga oggi. Potremo inoltre contribuire ad un miglioramento sensibile della nostra bilancia dei commerciale, che come abbiamo già scritto in altri post vede il nostro paese importare ormai una buona parte sia dei prodotti alimentari di base, sia di quelli che rivendiamo come nostri prodotti “tipici”.