Il tema del Sulcis ha suscitato un bel dibattito con richiesta di chiarimenti ai quali non intendiamo sottrarci. Parlando ad alcune migliaia di lettori, e non ad un congresso scientifico, devo attenermi necessariamente a un linguaggio non troppo tecnico per tentare di rispondere a tutti quelli che mi hanno scritto, non solo agli esperti come il Prof. Vacca. Avendo istituto il Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici e delle Pratiche Tradizionali non mi interessano le multinazionali, ma i paesaggi rurali che riflettono la nostra storia. Essendo poi l’autore delle linee guida piuttosto restrittive per limitare l’impatto delle centrali eoliche sul paesaggio per la Regione Toscana non credo di potere dare seguito ad equivoci. Capita di sentirsi accusati di essere al soldo di interessi economici speculativi quando si parla di fare piuttosto che non fare. Di solito succede quando non ci sono argomenti per criticare opinioni diverse. Chi ci legge è bene che sappia che gli interessi economici esistono anche fra chi conserva la natura, il giro di denaro esistente nel settore ambientale sorprenderebbe molti.
Passando all’argomento principale, diciamo intanto che l’erosione è un fenomeno naturale e non accade a causa dell’uomo. Le attività antropiche possono influenzarla in positivo o in negativo. Certamente per coltivare un bosco o un pascolo, per produrre cibo, materiale da costruzione o energia, si interviene coltivando o rimuovendo un bosco. Senza le colture agricole non esisterebbe la nostra civiltà, anche se capisco che il tema non scalda i cuori. Dobbiamo accettare un po’ di erosione per sopravvivere.
Molti pensano che eliminando un bosco si generi un disastro ambientale irreversibile. Non è così. Dato che nel 1930 avevamo 4.000.0000 di boschi e oggi circa 11.000.000, delle due l’una: o nel 1930 c’era una ecatombe di morti e danni dovuti ai dissesti e oggi non vi sono più frane, oppure la situazione è un po’ più complicata. In Italia avvengono ogni anno più di 486.000 frane, anche se abbiamo tutti questi boschi in più. Non sempre il bosco è il modo migliore per prevenirle, spesso si preferisce inerbire una pendice piuttosto che imboschirla. Un cotico erboso in buono stato, come quello di un pascolo, o le sistemazioni idraulico agrarie spesso funzionano meglio del bosco. L’analisi di 80 grandi frane avvenute durante la catastrofe ambientale delle 5 Terre del 2011, dove abbiamo pendici anche superiori al 100% , molto più a rischio che nel Sulcis, ha mostrato che per l’88% esse sono avvenute su aree boscate e solo per il 5% su aree terrazzate. I terrazzamenti hanno funzionato meglio del bosco.
La ceduazione rappresenta la forma di governo del bosco più diffusa in Italia, ed è una pratica tradizionale tipica del nostro paesaggio. Le scienze forestali l’hanno sistematizzata per assicurare il mantenimento del suolo e la rinnovazione del bosco, poiché l’obiettivo della selvicoltura è utilizzare il bosco e mantenerlo, non distruggerlo. Se governando a ceduo procurassimo la distruzione del suolo (anche il taglio raso con cui si trattano i boschi di alto fusto scopre il suolo), i boschi sarebbero già spariti da molti secoli. Il fatto che il taglio di un bosco procuri una desertificazione irreversibile non ha fondamento.
Per ridurre i rischi di forte erosione, se ci sono, le soluzioni sono molteplici. Per esempio il taglio di piccoli appezzamenti distanziati fra loro e in periodi diversi per ridurre le superfici che rimangono scoperte. Il ceduo disetaneo ed il ceduo composto, rispetto al ceduo semplice, riducono anch’esse la scopertura del suolo. Si può poi lasciare sostanza legnosa sul suolo dopo il taglio, per contribuire alla creazione di sostanza organica e suolo. Oltre a questo, nella foresta di Marganai, come in tutti i piani di gestione forestale, per legge, oltre alle indicazioni per i tagli, vi è lo studio che riguarda il dissesto idrogeologico e questa ha escluso che possano esservi danni sensibili. Ad ogni modo, anche in quella zona, tagli, fuochi e pascolo, vanno avanti da secoli, se ogni taglio avesse distrutto il suolo e creato un deserto quel bosco non ci sarebbe più.
Tutto quanto scritto fin qui certo non risolve il problema di fondo e cioè il confronto, ormai planetario, fra chi ritiene che l’uomo non debba toccare la natura e chi invece pensa che possa farlo senza necessariamente distruggere il pianeta. E, per il paesaggio italiano, fra chi pensa che dovremmo assomigliare a Scandinavia o Canada oppure rimanere l’Italia, cioè coltivare la terra e i boschi e creare paesaggi culturali che il mondo ci invidia.
Mauro Agnoletti Esperto Scientifico della Convenzione per la Diversità Biologica delle Nazioni Unite, UNESCO WHC, FAO GIAHS, European Landscape Convention. Coordinatore Gruppo di Lavoro sul Paesaggio, Rete Rurale Nazionale MIPAAF , Direttore Laboratorio Per il Paesaggio, Scuola di Agraria, Università di Firneze.