Una delle innumerevoli modalità di coltivazione dei nostri boschi è quella sviluppata per nutrire il bestiame, creando paesaggi forestali adeguati a produrre frasca da foraggio (sostanzialmente foglie), ghiande e prati che potessero svilupparsi sotto la copertura degli alberi. Per fare questo si riduceva molto il numero delle piante di un bosco naturale, con densità che andavano da pochi esemplari ad ettaro, tipici dei pascoli arborati, fino ad anche 90-100 piante ad ettaro nel caso di boschi da pascolo. I pascoli arborati, oltre a creare dei paesaggi aperti e luminosi, si prestano a far sviluppare piante monumentali, in quanto l’albero cresciuto isolato sviluppa dimensioni notevoli della chioma e del fusto. Se poi questi vengono capitozzati, abbiamo anche forme della chioma molto interessanti dal punto di vista architettonico. Molte delle piante oggi classificate come monumentali sono spesso alberi cresciuti in boschi pascolati o pascoli arborati, poi abbandonati e ridiventati boschi densi, dato che le nuove piante circondano quelle più anziane. Alcuni ricercatori che ritrovano queste specie all’interno di boschi in zone remote, li descrivono come esempi della naturalità perduta suggerendo vincoli integrali che limitano ogni tipo di uso. In realtà senza le attività di pascolo e la presenza dei pastori, tali formazioni non possono mantenersi. Viste le costanti preoccupazioni per l’erosione, è bene segnalare che il cotico erboso presente in un pascolo, arborato o meno, permette un’ottima stabilizzazione di pendici anche molto acclivi che resistono anche a piogge intense, non dovendo sostenere il peso delle piante di una densa foresta. L’origine del pascolo in bosco si perde nella storia, la legislazione romana ne regolamentava l’uso e con il termine “saltus” si individuavano tali formazioni. Nei secoli alto medievali è spesso un paesaggio più diffuso di quello agricolo. In tutto il Mediterraneo, il pascolo arborato era utilizzato per offrire rifugio agli animali durante le ore più calde del giorno, ma anche per la produzione di legna da ardere. L’utilità odierna dei boschi da pascolo, specie per l’Italia, è quella di abbinare all’aspetto storico paesaggistico anche le produzioni tipiche, siano esse legate ai formaggi come nel caso del Bitto di Albaredo (nella foto), sia per la produzione di carne, in particolare di maiale. I vantaggi sono notevoli rispetto alla produzione fatta in stalla, o con spazi ridotti intorno ad esse, in quanto l’alimentazione e l’esercizio fisico migliorano la salute degli animali, anche se non tutte le razze odierne sono adatte al pascolo. Un possibile svantaggio sono le grandi estensioni di territorio necessarie per mantenere un carico di animali pascolanti proporzionale alle risorse ambientali. D’altra parte proprio la grande diffusione del pascolo in bosco ha creato paesaggi estesi e diversificati, in ragione delle diverse condizioni di clima, morfologia e specie, che hanno caratterizzato gran parte del territorio italiano, come nel caso della Sardegna, forse l’unica regioni che ancora oggi ha un paesaggio largamente modellato dal pascolo. Purtroppo le regolamentazioni vigenti, sia in termini di conservazione della natura che di vincolo paesaggistico ed idrogeologico, ma anche di igiene alimentare, non facilitano questa pratica che richiede di intervenire sui boschi e gestirli in funzione della produzione di cibo. Nonostante questo pascoli arborati e boschi da pascolo sono classificabili fra i paesaggi storici più rappresentativi dell’Italia.