La stabulazione del bestiame da carne in spazi angusti sembra contribuire a una cattiva qualità alimentare e a rischi per la salute umana. Viene allora da chiedersi se non sia il caso di riannodare il filo che lega la produzione animale al paesaggio. Se invece di concentrare gli animali in allevamenti intensivi si incrementasse il pascolo libero si migliorerebbe la salute degli animali e degli uomini. Le importazioni di bovini più produttivi ma meno adatti al pascolo brado hanno infatti portato alla riduzione di una grande varietà genetica di razze autoctone adattatesi ai diversi paesaggi italiani, che ave- vano attitudini multiple, da lavoro, latte e carne. Lo stesso è avvenuto per i suini.
Nell’Italia centrale, fino ai primi de- cenni del dopoguerra, gran parte dei querceti erano utilizzati per il pascolo dei suini, oggi ridotto a nicchie produtti- ve come la cinta senese. Prezzi di 25 euro all’etto dei prosciutti iberici allevati bradi e la loro notorietà insegnano che mantenere il legame fra produzione animale e paesaggio storico stando sul mercato è possibile. L’Italia utilizza meno di un terzo dei propri boschi, promuovere la gestione del bosco da pascolo e dei pascoli nudi contribuirebbe a ridare vitalità a un settore ormai marginale, contribuendo a diversificare il paesaggio e a recuperare un po’ dei quasi 2 milioni di pascoli persi in 100 anni. Si contribuirebbe così anche a controbilanciare la crescita di un’industria agroalimentare, sempre più svincolata dal paesaggio, con crescenti importazioni di alimenti, grezzi e semilavorati di scarsa qualità.
Una tendenza curiosamente sostenuta anche in alcuni programmi Rai a proposito delle importazioni di grano. Molti addetti ai lavori osservano poi che una certa visione del rapporto uomo ambiente e della biodiversità, che sempre più spesso assegna un valore negativo al- l’uso della terra per la produzione alimentare, assieme alla crescente urbanizzazione, finisce per contribuire ad una progressiva polarizzazione del paesaggio. In Europa poli urbani in progressiva espansione si contrappongono ad aree semi-naturali – cresciute molto di più in Italia negli ultimi 100 anni — riducendo non solo le superfici coltivate, ma anche l’insieme dei valori associati al paesaggio rurale, da sempre il punto di forza del nostro Paese.
La necessità di una diversa visione del rapporto fra conservazione della natura e agricoltura è stata affermata dal segretariato della Convenzione per la Diversità biologica delle Nazioni Unite e dall’Unesco, con la dichiarazione del 2014 che definisce come «bioculturale» la biodiversità associata al paesaggio euro- peo, mettendo la «buona agricoltura» e la sua cultura al centro del sistema ambientale. Il fatto che il nostro Paese ne sia stato il promotore, dimostra una crescente chiarezza di azione riguardo a tendenze che mettono a rischio la nostra competitività, anche in termini culturali. Di tutto questo, per la verità, non si è sentito ne visto molto ad Expo e nella sua Carta, ma non è mai troppo tardi.
Mauro Agnoletti