Il 4 Dicembre sono stati finalmente nominati i primi tre paesaggi rurali nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici e delle pratiche agricole tradizionali. Si tratta del risultato di un lavoro iniziato nel 2007 è che ha portato prima all’inserimento del paesaggio fra gli obiettivi strategici delle politiche agricole italiane, poi all’istituzione dell’osservatorio nazionale del paesaggio rurale e quindi al registro. Otto anni possono sembrare tanti, ma se si pensa che mai le politiche agricole si erano occupate del paesaggio e della difficoltà di fare “digerire” tutto questo ad un ministero e ad un settore, quello dell’agricoltura, da sempre restio a riconoscere che le attività agricole e forestali producono il paesaggio e di come questo abbia a che fare con l’economia, l’ambiente e la società, è sorprendente che ciò sia avvenuto.
Due dei tre paesaggi nominati sono vitivinicoli: le Colline di Valdobbiadene e quelle del Soave. Qual è il messaggio che questi paesaggi offrono, soprattutto all’Italia e poi al resto del mondo? In primo luogo ci dicono che si può produrre vino salvaguardando le pratiche tradizionali, le quali contribuiscono alla qualità del vino. Non è necessario e non è soprattutto vero che per coltivare un vigneto si debbano distruggere i terrazzamenti e i ciglioni, meccanizzando al massimo e lavorando sulle massime pendenze delle colline procurando erosione. Questo è accaduto in molte zone del paese, dalle parti di chi scrive è addirittura saltato il piano paesistico regionale quando qualcuno ha provato a cambiare sistema. Ci sono molti imprenditori, in tante parti d’Italia, che hanno scelto di mantenere terrazzi e ciglioni e stanno sul mercato. Valdobbiadene e Soave dimostrano questo. Il secondo messaggio è che la nostra identità storica, espressa dai tanti paesaggi tradizionali ancora presenti nel nostro paese sono un fattore di competitività quando associati ai prodotti locali. Insomma, per rovesciare una frase celebre di un ex ministro “con la cultura si mangia” anche in agricoltura. Nel vino poi non si capisce perché dobbiamo continuare ad inseguire americani e francesi, relegando la qualità alle sole questioni di vitigno e “terroir”, quando invece è del tutto evidente che la qualità del paesaggio è un fattore fondamentale anche della qualità del vino. Se i consumatori finalmente capissero come alcune viticolture abbiano contribuito al degrado del paesaggio e dell’ambiente valorizzerebbero molto di più chi ha mantenuto pratiche secolari, magari spendendo di più ma mantenendo la qualità dei luoghi. La zona di Soave è stata iscritta nel registro per avere conservato la destinazione viticola delle dolci pendici meridionali dei monti Lessini che si affacciano oggi su una pianura ormai largamente urbanizzata, mantenendo forme quali la pergola veronese, terrazzamenti, muri a secco, ma anche molte alberature. Le Colline di Valdobbiadene rappresentano invece il nucleo storico della produzione del prosecco. In quest’area, su pendenze spesso vertiginose, si coltiva su piccoli ciglioni a girapoggio, senza i quali non sarebbe possibile coltivare vino o altro, associate ad aree boscate ed esempi di edilizia storica. Dal punto di vista ambientale queste pratiche produttive rappresentano forme di adattamento ad ambienti difficili e offrono vantaggi anche per l’adattamento al cambiamento del clima, specialmente rispetto ad eventi pluviometrici intensi. La loro conservazione è importante per un insieme di ragioni ben rappresentate dai programmi dell’UNESCO, rivolto a conservare i valori culturali e il più recente programma FAO per la conservazione dei sistemi tradizionali, e dalla Convenzione per la Diversità Biologica che ne riconosce il ruolo per la conservazione della diversità bioculturale. Se poi, in mezzo a catastrofismi di varia natura, vogliamo finire l’anno con un messaggio positivo, allora riflettiamo sul fatto che su questi argomenti l’Italia è uno dei paesi leader nel mondo.