In occasione della firma dell’accordo di Parigi, vale la pena fare alcune considerazioni su un tema che ormai da più di 25 anni riempie le cronache. Per la più importante rivista scientifica al mondo, “Science”, il 75% degli scienziati ritiene che “probabilmente” l’uomo abbia un ruolo nel cambiamento climatico, il 25% invece è convinto che non ne abbia alcuno. Dal 1992 periodicamente l’IPCC propone scenari che prevedono fra 0,5 e 4 gradi C° di aumento entro cento anni, ma nessuno di essi è dato come “certo”, si parla sempre di probabile, poco probabile, molto probabile. Le certezze riguardano un aumento di temperatura dall’inizio del 20° secolo di circa 0,70 C° ma anche una crescita della popolazione mondiale da 1,6 miliardi a 7,3 di persone, mentre nei due secoli precedenti è stata di 300 milioni. Se ne deduce che le condizioni di vita per la specie umana sul pianeta non siano mai state così favorevoli; che molti milioni di persone vivono in luoghi critici dal punto di vista ambientale che forse non dovrebbero essere abitati; che è aumentato il rischio di un peggioramento delle condizioni di vita in quei luoghi. Per l’Italia 25 anni fa i climatologi davano per probabile desertificazione e deforestazione, che non si sono mai verificate e forse è il caso di cominciare a chiedere conto di certe previsioni errate e dei loro costi. Le foreste in Europa continuano ad avanzare di 800.000 ha l’anno e in Italia di quasi 100.000 ha. La deforestazione a livello mondiale, secondo la FAO, si è interrotta, quella Amazzonica si è ridotta dell’80%. Non sembra però che questo abbia modificato le previsioni sul clima, ne accontentato chi parla di perdita di biodiversità. Lo scenario più “probabile” sembra quello di un aumento di 2-2,2 C°. Gli effetti di tale aumento non potranno eguagliare, ad esempio, le epocali trasformazioni dell’uso del suolo avvenute nell’ultimo secolo in Italia per motivi socioeconomici diretti, che hanno visto cambiare volto a quasi 12.000.000 di ha di territorio, con industrializzazione, urbanizzazione, abbandono ecc. Il punto debole di molte analisi globali sulle cause e gli effetti dei mutamenti climatici è di semplificare questioni molto complesse, indicando ricette uguali per tutti, con punti di vista spesso ideologici. Mentre spenderemo altri denari pubblici continuando a favorire una certa quantità di burocrazia ambientale superficiale, nonché i media che vivono su questo, dovremmo invece pensare a ricoltivare la terra, sia in vista di un possibile riscaldamento globale e della minore disponibilità alimentare, sia per quello che i dati, quelli sicuri, dimostrano. Se infatti le tendenze dell’ultimo secolo continueranno, in Italia vivremo in grandi aree metropolitane circondate da ampi territori “verdi” e “selvatici”, facendo felice una inconsapevole civiltà “urbana”, che verrà tenuta buona come ai tempi di Roma, importando il grano dall’estero (fino a che sarà possibile) e con tanti giochi, non al Colosseo ma in TV, tanto nessuno deve coltivare più la terra. Mantenere basso l’inquinamento come normale precauzione per la salute di tutti, ricoltivare la terra per non dover dipendere dall’estero anche per il cibo e ridurre lo sprawl urbano, mantenendo così anche il nostro paesaggio e la qualità della vita, sembrano le iniziative veramente necessarie. E’ possibile che possano anche migliorare il clima.