Guardando al paesaggio europeo le relazione fra le politiche della UE e il suo ruolo nell’attuale fase politica è più significativo di quanto possa sembrare. Alcuni decenni di politiche agricole hanno infatti contribuito alla omologazione ed omogeneizzazione del paesaggio rurale. Indirizzi comunitari sostenuti da risorse economiche che valgono anche il 25% del valore della produzione agricola, hanno modificato, anche da un anno all’altro, buona parte delle superfici agricole. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Le colture promiscue italiane, di origine etrusca, sono state eliminate dalle statistiche per effetto della politica agricola comune, mentre il paesaggio olivicolo italiano, spagnolo e greco, è stato stravolto per intensivizzare ed industrializzare la produzione. Questo suggerisce l’utilità e l’urgenza di un progetto di paesaggio a scala europea, che dovrebbe riconoscere, includere e quindi integrare le diversità, mantenendole ed inserendole in un progetto comune di sviluppo che salvaguardi l’identità dei territori. La mancanza di questa visione sicuramente contribuisce a fare attribuire alla politica le colpe di trasformazioni che avvengono, per la verità su scala globale, ma che contribuiscono ad aumentare la percezione di marginalità e di esclusione delle comunità locali da un progetto comune. Sia chiaro, la tendenza ad omogeneizzare non è avvenuta soltanto dal punto di vista economico, ma anche nel settore ambientale, la globalizzazione si manifesta anche quando proponiamo obiettivi e strategie che tendono ad uniformare ambienti, climi e culture diverse. Ricostruire una visione comune dell’Europa potrebbe ripartire anche dalla salvaguardia del paesaggio e dalla applicazione, reale, della Convenzione, ratificata da da circa 35 stati, ma relegata al Consiglio d’Europa.
Paesaggio e brexit
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