Come segnalato da alcuni quotidiani l’ultima assemblea generale dell’UNESCO ha approvato 27 nuovi siti fra i quali alcuni siti cinesi, mentre mancavano candidature italiane. In tal modo la Cina arriva ad un totale di 50 beni inseriti nel patrimonio mondiale, inferiore di solo una unità rispetto al totale di siti dell’Italia che detiene ancora il primato a livello mondiale. Non è da ora che la Cina sta scalando queste classifiche, la cosa interessante è che il gigante asiatico non solo sta aumentando il numero dei siti iscritti nell’UNESCO, ma anche quelli iscritti nel nuovo programma della FAO per la salvaguardia del paesaggio agrario, per assumere una vera e propria egemonia mondiale anche in questo settore. Va ricordato che la Cina ha una civiltà più antica di quella italiana, ed è anche un paese con una estensione di nove milioni e mezzo di Km2 mentre l’Italia ha una estensione di solo trecentomila km2. Non dovrebbe quindi sorprendere se un paese 30 volte più grande il nostro e con una civiltà più antica ci affianca in queste graduatorie. In realtà l’Italia non solo detiene saldamente il primato di paese con la maggior parte del patrimonio culturale mondiale, includendo siti UNESCO, aree protette, musei, siti archeologici, monumenti ecc., ma è anche il primo della lista mondiale del country brand per turismo e cultura. Va poi segnalato che proprio la disproporzione territoriale fra una piccola nazione come la nostra e un paese che è quasi un continente, mette in risalto il valore della maggiore concentrazione di beni culturali dell’Italia rispetto a qualunque paese del mondo. Noi abbiamo poi altre peculiarità rispetto alla Cina, come ad esempio un patrimonio architettonico, inteso come monumenti e città storiche superiore rispetto ad una civiltà molto più basata su legno come materiale da costruzione, con una conseguente maggiore deperibilità nel tempo. Pochi poi sanno che dentro all’UNESCO, sono in corso continue contrattazione politiche per accettare o meno nuovi siti di un paese rispetto ad un altro e la geometria delle maggioranze nell’assemblea non tiene conto della reale consistenza e qualità del patrimonio di un paese. Inoltre, alcuni paesaggi naturali o culturali , ed alcuni monumenti inclusi nella lista non sono di qualità comparabile, ma sono importanti soprattutto per il paese che li candida, rappresentando valori comunque emblematici del suo patrimonio nazionale. L’Italia ha una tale quantità di paesaggi e monumenti di valore universale che non sarebbe possibile inserirli integralmente nel patrimonio UNESCO, anche per questo motivo sono stati istituiti strumenti quali il registro nazionale dei paesaggi rurali storici, un caso unico nel mondo, che vede al momento almeno una quarantina di procedure di iscrizione avviate. Si cerca così di trovare alternative alla lista UNESCO per dare visibilità a tutte le nostre risorse culturali. Il problema dell’Italia, come tutti sanno, non è nella consistenza del patrimonio culturale, ma nella nostra scarsa capacità di gestirlo e farlo fruttare. L’analisi svolta da PriceWaterhouseCooper alcuni anni fa mostrava che gli Stati Uniti, con la metà dei siti UNESCO rispetto all’Italia, avevano un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano. Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno unito era tra 4 e 7 volte quello italiano. Per fare un esempio poco noto e banale, i ricavi complessivi dei bookshop dei musei italiani fino a pochi anni fa erano pari al 38% deli ricavi del solo Metropolitan Museum. Vi è poi uno scarso interesse della stampa e dei media , al di là di casi emblematici come Pompei, ad interessarsi del nostro patrimonio culturale.
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