Le recenti decisioni di Trump rafforzano la ventata nazionalista che attraversa anche il nostro continente. Uno degli argomenti più frequentemente presentati a sostegno di una più forte limitazione del flusso dei migranti è la difesa delle identità nazionali. Parte essenziale della identità di un paese è senz’altro anche il suo paesaggio, uno specchio fedele dei processi storici attraverso i quali l’evoluzione della società imprime le sue forme all’ambiente. Nel caso dell’Italia, come è vero che molte idee in materia di ambiente e paesaggio, diffuse soprattutto nei ceti urbani, sono il prodotto di culture più forti e moderne, nord americane e nordeuropee, è altrettanto vero che il nostro paesaggio è il prodotto della stratificazione di influenze provenienti da molti paesi diversi, avvenute nel corso di alcuni millenni. Dai templi greci, fino alle forme dei campi e le tecniche di allevamento delle viti, del periodo preromano, passando poi al patrimonio vegetale, con alberi quali il cipresso, l’olivo e il pino domestico, per citarne solo alcuni, importate nel periodo romano dall’oriente, il paesaggio antico era già profondamente influenzato da culture diverse di origine greca e medio orientale. Con la caduta dell’impero, le forme dell’incastellamento di origine feudale e i centri urbani che si raccolgono sulle cime delle colline, sia per difendersi che per sfuggire all’impaludamento, sono ugualmente il risultato di invasioni e dominazioni dell’alto medioevo dal nord Europa, con il loro corredo di usi e costumi. Che dire poi delle influenze arabe, che dal IX° secolo in poi attraverso varie forme di captazione dell’acqua, colture quali gli agrumi ed i gelsi, modellano il paesaggio dal sud al nord, o delle specie vegetali del nuovo mondo come, patate e pomodori, o la moltitudine di spezie e piante arboree provenienti dalle Americhe e dall’Asia. I liberi commerci furono alla base della ricchezza economica e culturale del nostro paese in tutto il medioevo e il rinascimento. Solo da questi brevi cenni, si capisce come il paesaggio italiano ed in generale il nostro patrimonio culturale, che individuano oggi così chiaramente l’identità e l’immagine del nostro paese siano il prodotto di molteplici stratificazioni storiche dovute a scambi con culture diverse e a flussi migratori tutt’altro che “regolati”, ma è grazie ad essi che siamo il paese con il più vasto patrimonio culturale del mondo. Riguardo al paesaggio agrario, se i popoli del deserto, maestri nel trasformare distese di sabbia in giardini ricchi di alberi da frutto e colture agricole con un filo di acqua, si trasferissero da noi motivati dalla fame di terra non potremmo che trarne vantaggio. Ridurremmo l’abbandono che lo caratterizza, la semplificazione che lo svilisce e torneremmo a produrre molti prodotti “tipici”, invece di importarli da paesi che spesso praticano una agricoltura industriale. Certamente questo richiede un progetto di accoglienza per trasformare, finalmente, dei migranti senza più patria e diritti, in cittadini.