Si parla sempre di più di abbandono dell’agricoltura anche per questo si cerca di proporre sempre più spesso i prodotti tipici di qualità del nostro paese, che ci consentono di essere competitivi rispetto alla produzione alimentare proveniente dall’estero e di mantenere il nostro paesaggio. Purtroppo non tutti lavorano in questa direzione. Alcuni grandi gruppi diffondono notizie su una presunta impossibilità di produrre in Italia tutto il grano che ci serve e una cattiva qualità del grano italiano, specie quello duro usato per la pasta. Abbiamo deciso di approfondire questa questione e con una troupe del TG3 ci siamo recati in una zona della toscana, nei pressi di Montespertoli (FI), dove sul grano è stata messa in piedi una intera filiera che coinvolge produttori di grani tradizionali, mugnai, panificatori e consumatori. Si tratta di una porzione di un movimento più vasto, nato diversi anni fa e diffuso non solo in Toscana, ma con poca visibilità politica, per questo l’Osservatorio del Paesaggio se ne occupa. La questione della scarsità di terreni da coltivare è una voluta inesattezza, basterebbe recuperare poche centinai di migliaia di ha degli oltre 11 milioni che abbiamo abbandonato per rendere il nostro paese autosufficiente. Purtroppo siamo un paese per il 75% montuoso e collinare, ma non possiamo coltivare tutto in pianura (dove fra l’altro avviene anche la maggiore urbanizzazione), per ridurre i costi abbandonando il resto del paese. Circa la qualità, la maggior parte degli alimenti da forno sono oggi ottenuti con farine di grani ricchi di glutine provenienti dall’estero, granaglie spesso poco tollerate dal nostro intestino. Non è un caso se sempre più persone rilevano intolleranze (celiachia) e stati allergici causati dall’azione aggressiva del glutine stesso. Il motivo di questo uso massiccio di grani esteri sta nei vantaggi che si acquisiscono nella lavorazione delle farine, che diventano più malleabili, più “gommose” e compatte e nel costo più basso. Da questo punto di vista il mugnaio Paciscopi di Montespertoli è stato una vera miniera di informazioni, spiegando che la farina che si ottiene dai grani tradizionali è più grezza nell’aspetto ma contenente germe di grano – ricco di vitamina “E” e di tocoferoli antiossidanti naturali – che con le raffinazioni moderne viene eliminato. Con questo tipo di macinazione a pietra la farina non viene inoltre riscaldata, mantenendo integro il valore nutritivo del chicco. Certo il prezzo del pane è leggermente superiore, circa 3 euro al chilo, ma considerando che mangiamo sempre meno pane e anche i vantaggi nel mantenere viva l’agricoltura e ridurre i danni che paghiamo tutti con l’abbandono del paesaggio, forse conviene sostenere queste produzioni. Tutto questo sperando che la politica se ne accorga e, così come per altre forme di agricoltura tradizionale, sostenga queste produzioni con le politiche agricole alimentari europee, piuttosto che promuovere modelli industriali che hanno meno bisogno del sostegno pubblico.