1. Bosco di Sant’Antonio
(Comune di Pescocostanzo)
Si tratta di un paesaggio boscato esteso per circa 710 ha, di proprietà in parte comunale e in parte privata. L’area è posta interamente all’interno del Parco Nazionale della Majella. La significatività dell’area risiede nella sua persistenza storica e nella peculiarità delle componenti arboree caratterizzate dai faggi capitozzati, tipici di molti boschi abruzzesi, sebbene poco conosciuti e riconosciuti nelle loro funzioni paesaggistiche. Oggi esso rappresenta un esempio molto ben conservato e forse il più significativo, in Abruzzo e nei territori del Regno delle Due Sicilie, dei boschi definiti “difesa”, boschi riservati al pascolo di equini e bovini, ma non agli ovini. Caratteristiche della “difesa” sono le forme delle piante “a capitozza”, risultanti da una potatura del fusto a circa due metri di altezza dal suolo, per dare luogo allo sviluppo di polloni, in pratica un ceduo aereo adatto alla produzione di foglia per l’alimentazione del bestiame, e protetto dal morso degli animali pascolanti trovandosi a una certa altezza dal terreno. L’integrità dell’area appare sostanzialmente mantenuta anche se con variazioni dei rapporti fra le componenti arboree, pascolive e delle caratteristiche dei singoli elementi arborei. Per quanto riguarda la vulnerabilità, la gestione del bosco è attualmente condizionata dal piano e dal regolamento del parco, con l’area in esame compresa in Zona A (Riserva integrale). Questo tipo di tutela, certamente adatto a formazioni forestali poco, o da molto tempo non alterate da interventi, appare non idoneo alla conservazione del bosco di Sant’Antonio, dove sarebbe necessario prevedere interventi di rinnovamento delle capitozze al fine di mantenere i caratteri identitari di quest’area.
2. Campi aperti della Baronia di Carapelle
(Comuni di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Castelvecchio Calvisio)
I Piani della Baronia di Carapelle, sono campi aperti posti nei Piani Viano e Buto (cioè “pieno” e “vuoto”), un avvallamento a forma di otto allungato, posti in un’area estesa circa 564,53 ha. L’area rientra integralmente nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. La significatività dell’area è legata alla persistenza storica e alla bellezza di un paesaggio legato al pascolo e alla conformazione dei campi aperti. Già attraversata in epoca romana dalla via Claudia Nova, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, la Baronia di Carapelle era un vasto e importante dominio feudale, ove si svilupparono agricoltura e pastorizia. L’economia pastorale è il tratto prevalente di quest’area, mentre la produzione agricola ha una funzione legata soprattutto all’autoconsumo familiare. I campi aperti traggono origine da un sistema agronomico fondato su pratiche comunitarie, connesse a servitù d’origine medioevale. Tutta l’area presenta ancora caratteristiche di altissima valenza paesaggistica. I coltivi sono circondati da estesi pascoli e macchie boschive, i campi sono coltivati in maniera estensiva, con colture e pratiche tradizionali. Di particolare pregio è la coltivazione delle leguminose (lenticchie, cicerchie), di cereali (farro, grano solina, orzo) e di patate. La vulnerabilità dell’area è legata alla diminuzione delle attività agro-pastorali che determina un continuo abbandono delle coltivazioni, accompagnato dal proliferare di fauna selvatica.
3. Campi terrazzati e zone collinari della Majella
(Comuni di Roccamorice, Caramanico Terme, Abbateggio)
L’area presenta un paesaggio silvo-pastorale terrazzato di 1404 ha, composto prevalentemente di prati artificiali che, scendendo a valle, si alternano a coltivazioni come farro, olivi, vite, alberi da frutto, oltre che da produzione di formaggi e miele, di proprietà in parte privata ed in parte demaniale. La significatività del paesaggio è caratterizzata in particolar modo dai terrazzamenti e dalla tecnica del muro a secco, usata per recinzioni e capanne in pietra, che in abbinamento alle caratteristiche dell’ambiente fisico costituiscono una delle parti più pregevoli del patrimonio paesaggistico nazionale. L’accumulo del materiale pietroso, nato dall’esigenza di bonificare campi e pascoli per sfruttare un sottile strato di terra fertile e le magre erbe che crescono tra i calcari affioranti, ha permesso la realizzazione di un elevato numero di manufatti tra cui circa 300 capanne con struttura a thòlos. Il paesaggio si presenta in gran parte ancora integro, anche se nella zona propria dei terrazzamenti più antichi, l’attività pastorale è residuale. La vulnerabilità del paesaggio è soprattutto legata all’abbandono, iniziato a metà del XX secolo, provocando un lento degrado delle strutture in pietra a secco e di tutto il paesaggio agrario.
4. Oliveti di Loreto Aprutino
(Comune di Loreto Aprutino)
L’area, di 1034 ha, è situata in una zona collinare interna, a metà strada tra il Mare Adriatico e la catena montuosa del Gran Sasso d’Italia. Il comprensorio è caratterizzato dalla coltivazione di oliveti, in parte a terrazzamenti, e contigui a vigneti. La significatività dell’area è legata a un paesaggio olivato che mostra le tracce di diversi percorsi storici. La coltura prevalente delle circa 40 aziende della zona è quella dell’olivo della varietà Dritta, diffusasi alla fine dell’Ottocento. Altri elementi di significatività dell’area sono il Castelletto Amorotti, il quale ospita il Museo dell’olio, la chiesa di San Francesco (XIII secolo), la chiesa di Santa Maria in Piano (XII secolo) e il Museo della civiltà contadina. Per quanto riguarda l’integrità, l’industrializzazione dell’agricoltura del Novecento ha inciso poco sul paesaggio complessivo che questi oliveti compongono. Relativamente alla vulnerabilità l’area non appare interessata da fenomeni di espansione edilizia indiscriminata. In alcuni tratti si sono verificati casi di frane e si assiste a un lento processo di erosione. Elementi di vulnerabilità potrebbero essere legati a eccessive intensivizzazioni nell’olivicoltura, con l’introduzione di tecnologie che comportino la modifica del portamento e dell’architettura degli oliveti.
5. Piana del Fucino ad Ortucchio
(Comuni di Ortucchio, Pescina)
L’area, di 2034 ha riguarda una porzione della Piana del Fucino. Nella storia d’Italia il prosciugamento del Lago del Fucino, definitivamente realizzato solo nel 1878, rappresenta uno dei massimi sforzi compiuto dall’uomo nella sua opera di dominio della natura. Il pescoso specchio lacustre era il terzo più grande d’Italia per estensione e il primo a tentare il prosciugamento fu Cesare che per rifornire di viveri Roma promise di prosciugare il lago. Nel 1854 Alessandro Torlonia decise di avviare la bonifica, e in seguito alle lotte contadine del secondo dopoguerra la riforma agraria assegnò i terreni agricoli ai residenti dei comuni limitrofi e a coloni provenienti dalla costa. Nell’area prosciugata sono così diventate predominanti le coltivazioni di grano, barbabietola da zucchero, Carota del Fucino IGP, la Patata del Fucino IGP e varie specie orticole. Negli anni la Piana è così passata da zona di pesca e coltivazioni arboricole che era nel periodo ante-bonifica a una superficie destinata praticamente per intero all’orticoltura, un ramo assai remunerativo del settore primario. L’area mostra bassi livelli di integrità paesistica. Pochi sono gli elementi del paesaggio rurale storico che si sono mantenuti; benché le coltivazioni ad ortaggi impieghino varietà locali i metodi di coltivazione sono comunque di tipo intensivo e si sono fortemente contratte altre forme di uso del suolo come vigneti, oliveti e frutteti, che risultano storicamente più importanti in questo territorio. Per ciò che concerne la vulnerabilità si è dunque passati da un’agricoltura tradizionale a una intensiva, la quale prevede un alto impiego di acqua sia per l’irrigazione sia per i processi di trasformazione e confezionamento, con un consumo di risorse idriche.
6. Piani di Aielli
(Comuni di Barete, Montereale, Pizzoli)
L’area comprende un vasto pianoro di prati, campi e pascoli arborati, esteso per 947 ha. La significatività dell’area dei Piani di Aielli è caratterizzata dalla persistenza storica di un affascinante paesaggio legato alla tradizione dell’allevamento transumante. Nel secolo scorso, da aprile a ottobre le popolazioni di Barete e di Pizzoli vi portavano a pascolare pecore, vacche e cavalli e vi seminavano a rotazione orzo, grano ed erba medica per il riposo, oppure lenticchie, cicerchie, ceci e patate. Si tratta di un significativo esempio di “migrazione verticale”. I terreni coltivati erano spesso delimitati da frasche o da muretti a secco, detti macere o macerine, derivati dallo spietramento e necessari per proteggere le coltivazioni dalle mandrie e dalle greggi. L’area conserva una buona integrità, essendo ancora visibile la struttura nastriforme dei campi aperti comunitari per la produzione di cereali, che coesistono con i campi di sfalcio per l’allevamento del bestiame e con piccole coltivazioni di patate e di ortaggi. Per ciò che concerne la vulnerabilità il progressivo abbandono dell’agricoltura ha diradato la presenza umana nei Piani. Alcuni terreni sono abbandonati e anche la manutenzione dei muretti a secco non è più curata. Anche il numero delle greggi è diminuito.