1. Altopiani della Sila
(Comuni di Pedace, Spezzano Piccolo, Serra Pedace)
Si tratta di un paesaggio silvo-pastorale, esteso per circa 958 ha, costituito da pascoli frammisti al bosco, caratterizzato dalla presenza di aree pianeggianti sulle quali da secoli si esercita la transumanza. L’area è compresa nel Parco Nazionale della Sila. La significatività dell’area è legata all’importanza storica della Sila, già descritta dagli autori romani come una zona caratterizzata da boschi estesi e dotati di piante maestose, che con la progressiva colonizzazione e la deforestazione, spesso attraverso l’uso del fuoco, lasciano gradualmente il posto ai pascoli, creando un sistema silvo-pastorale di durata plurisecolare caratterizzato dalla transumanza. La razza bovina più diffusa è la podolica dal cui latte si produce oggi il caciocavallo Silano a marchio DOP. Tra le piante del bosco troviamo il faggio (Fagus sylvatica), il pino laricio (Pinus nigra calabrica), il pino loricato (Pinus leucodermis). La vegetazione arbustiva è costituita da ginepro emisferico (Juniperus hemisphaerica) e piante erbacee tra cui alcune esclusive dell’ambiente calabrese come Alchemella australica, Soldanella calabrella, Lereschia thomasii. L’integrità dell’area è legata alla persistenza plurisecolare del pascolo e la scarsa pressione antropica che hanno permesso a questo paesaggio di arrivare fino a noi, mantenendo caratteristiche assai simili a quelle descritte nei secoli scorsi. Uno dei suoi principali caratteri di continuità è la struttura caratterizzata dalla presenza alternata di spazi pascolati e aree boscate, a gruppi o singole. Per ciò che riguarda la vulnerabilità si osserva che negli ultimi cinquant’anni la diminuita pressione antropica ha fatto sentire i suoi effetti, tramite l’aumento della superficie dei boschi e la diminuzione dei seminativi, dei prati e dei pascoli. Un altro elemento di vulnerabilità è rappresentato dai flussi turistici, per la presenza della stazione sciistica di Moccone e per il disordinato turismo estivo.
2. Campi a erba di Isola Capo Rizzuto
(Comune di Isola Capo Rizzuto)
Il paesaggio dell’area, esteso per circa 1247 ha, è ascrivibile ai classici “campi a erba”. La significatività è legata al ruolo dei “campi a erba” nel paesaggio calabrese e alla sua persistenza storica, la cui origine è segnalata in epoca antecedente la colonizzazione greca. Il sistema di conduzione tradizionale adottava una rotazione sessennale: maggese nudo o vestito, grano, ringrano, tre anni di riposo pascolativo. Esso aveva diversi obiettivi: ricostituire la fertilità con il riposo vegetativo, “rinettare” il campo con il maggese, essere presenti sul mercato con più prodotti (cereali, latte, formaggi, lana, carne), controllare l’offerta di lavoro attraverso la terraggeria, esercitata nell’anno di ringrano. Sebbene interessata da mutamenti sociali profondi, l’area ha conservato una sostanziale integrità di paesaggio. La continuità storica si riscontra nei criteri dei confini e nella mancata antropizzazione di vaste aree interne che separavano le terre di pianura da quelle di montagna per limitare le razzie. I confini tra una proprietà e l’altra, quando non sono naturali (fossi, fiumi, burroni), sono segnati da una striscia larga un metro e ricoperta da scinari, siepi di erbe spontanee in cui predomina il lentischio (scinu, in dialetto calabrese) ed era funzionale al libero pascolo del bestiame dopo la mietitura del grano. La vulnerabilità del paesaggio sembra dovuta a fattori naturali e fattori antropici. Punti di criticità possono essere le colture intensive, gli impianti eolici e l’abusivismo edilizio.
3. Castagneti del Reventino
(Comuni di Cicala, Carlopoli, Gimigliano, Serrastretta, San Pietro Apostolo)
Si tratta di un’area boscata caratterizzata dalla prevalente presenza di castagneti da frutto estesa circa 1465 ha. La significatività dell’area è dovuta all’importanza storica della coltura del castagno, una delle specie forestali di più alto valore culturale per il paesaggio rurale italiano. Questo territorio assume importanza con l’avvento del popolo dei Bruzi, che compaiono nel IV secolo a.C., dopo il loro distacco dai Lucani. Lungo tutta la dorsale, ai rimboschimenti di pino laricio, si alternano faggi e ontani, cerrete e castagneti da frutto. In tutta l’area sono presenti veri e propri esemplari giganti di castagno e cerro, e a Serrastretta troviamo un bagolaro (Celtis australis) monumentale, mentre un’elevata biodiversità caratterizza tutta l’area. L’integrità di questo paesaggio è compromessa da rimboschimenti realizzati con specie non autoctone, castagneti in parte abbandonati e in parte ceduati. L’abbandono degli anni Sessanta, effetto dell’emigrazione che ha interessato circa il 65% della popolazione, si è tradotto in una diminuzione della produzione di castagne che però è ripresa nell’ultimo decennio. Lo stato fitosanitario dei castagneti oggi si presenta buono, dopo il risanamento dal cancro corticale con la diffusione di ceppi ipovirulenti. I fattori di vulnerabilità di questo sistema di paesaggio sono molteplici. In parte abbiamo il fenomeno dell’abbandono e la progressiva conversione dei castagneti puri in boschi misti. A questo si aggiungono interventi di miglioramento che spesso portano all’eliminazione degli esemplari monumentali. Dal punto di vista sanitario esiste il rischio di una possibile ricomparsa del mal dell’inchiostro e l’insediamento di nuovi ceppi virulenti di cancro corticale.
4. Costa Viola
(Comuni di Palmi, Seminara, Bagnara Calabra)
Il paesaggio terrazzato lungo la costa tirrenica della Calabria meridionale compresa tra Capo Barbi e Cannitello, comprende un’area estesa per circa 764 ha. La significatività dell’area è legata alla persistenza di un paesaggio caratterizzato dalla secolare opera di rimodellamento dei versanti. I terrazzamenti (rasule) sostenuti da muri a secco (armacie), sono in gran parte impiegati per la viticoltura, condotta tradizionalmente con impianti a pergola. Le rasule, larghe da 1 a 10 metri, sono sorrette da muri a secco spessi in media mezzo metro e alti fino a tre, che incorporano una serie di scalette in pietra. Il paesaggio della Costa Viola mantiene un livello di integrità complessivamente buono, anche se la superficie totale ancora abitualmente coltivata si è ridotta rispetto agli inizi del Novecento. Parte del merito è dovuto alla presenza di recenti iniziative che hanno dato vita a un associativismo cooperativo e a qualche impresa capace di rilanciare la produzione enologica, impiegando nuovi vitigni e moderni sistemi di trasporto con il risultato di ottenere vini a certificazione IGT. La vulnerabilità dell’area è dovuta in gran parte agli effetti dell’abbandono, per la difficoltà di rendere remunerativo un sistema colturale a lungo immobile e un’attività condotta in situazioni difficilmente meccanizzabili. L’esodo e l’invecchiamento della popolazione agricola a fronte di un incremento del costo della manodopera, l’eccessivo frazionamento fondiario, la difficoltà d’accesso e di gestione delle colture terrazzate hanno spinto al loro graduale abbandono. L’interruzione della regolare manutenzione dei terrazzi, dei muretti e dei canali di scolo, amplifica il rischio di fenomeni erosivi.
5. Oliveti monumentali di Gioia Tauro
(Comuni di Gioia Tauro, Rizziconi, Taurianova)
L’area degli uliveti monumentali occupa circa 2434 ha. La significatività dell’area è legata alla qualità monumentale degli oliveti, alla loro estensione e alla consociazione con gli agrumi. L’olivicoltura appare già consolidata nel periodo romano, e nel XVII secolo appare l’unica attività economica in espansione; la potatura era pratica sconosciuta e ciò spiega il portamento monumentale delle piante che arrivano anche a 20 metri, mentre il suolo sottostante gli oliveti di primo impianto veniva seminato per alcuni anni e le paglie rimaste dopo il raccolto bruciate. Nel corso del XVIII secolo avvengono fatti destinati a cambiare il paesaggio agrario della Piana: la scomparsa del gelso e dell’industria serica, l’aumento del consumo d’olio per l’illuminazione pubblica, l’industria tessile e l’alimentazione dei ceti urbani, una minore pressione fiscale sull’olio. Le colture hanno un’espressione omogenea e specializzata, con un sesto d’impianto 15×15 e spesso al di sotto si estendono ampie coltivazioni agrumicole. Il bosco di ulivi, ormai sempre più estraneo a una logica produttiva moderna, rende quest’area marginale dal punto di vista economico, anche se l’olivo è l’elemento centrale dell’identità culturale locale. Per quanto riguarda la vulnerabilità, si osserva che le minacce dovute all’avanzata dell’urbanizzazione, a fenomeni di degrado (discariche abusive), alla disoccupazione, all’economia in nero, all’assistenzialismo e alla malavita organizzata, sono purtroppo diffuse sul territorio. Gli impianti appartengono strutturalmente a una vecchia olivicoltura e spesso all’interno degli oliveti monumentali sono stati piantati nuovi olivi, visto il sesto di impianto originario particolarmente largo, trasformando profondamente il paesaggio storico. Un fenomeno recente è lo sradicamento delle piante centenarie che vengono rivendute e piantate in proprietà private. Un altro elemento di vulnerabilità è rappresentato dall’inserimento di nuove colture come il kiwi o nuovi impianti di olivo a densità elevata e con irrigazione, elementi estranei al paesaggio locale.
6. Piana del Bergamotto
(Comuni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Staiti)
L’area di circa 1082 ha rappresenta il paesaggio tipico della coltura del bergamotto. La significatività dell’area è legata a numerosi fattori fra i quali quello di rappresentare l’unica area al mondo coltivata a bergamotto, un agrume alto fra i 3 e i 4 metri. La fortuna dell’essenza di bergamotto si deve all’italiano Gian Paolo Feminis che, emigrato a Colonia nel 1680, formulò l’aqua admirabilis utilizzando l’olio estratto manualmente pressando la scorza del frutto e facendola assorbire da spugne naturali. Da allora, il bergamotto resta uno dei grandi prodotti basilari essenziali per la realizzazione del profumo. La prima piantagione di bergamotto fu opera nel 1750 del proprietario Nicola Parisi a Reggio Calabria. Il paesaggio del bergamotto mantiene la peculiarità tipica del “giardino di agrumi” ottocentesco, con un sesto d’impianto regolare. Per ciò che riguarda l’integrità, oltre alla coltura del bergamotto, sono ancora visibili le divisioni realizzate con arginelli di terra che stabilivano il confine delle quote assegnate dai grandi proprietari. Pur essendo una coltura di antica tradizione molti impianti sono stati effettuati all’inizio degli anni Sessanta, in conseguenza di favorevoli condizioni di mercato. Per quanto riguarda la vulnerabilità l’antica tradizione culturale del bergamotto ha conosciuto una prima crisi nei primi decenni del Novecento. Una cattiva organizzazione aziendale, la carenza di iniziative di tutela del prodotto – nonostante la DOP “Bergamotto di Reggio Calabria – olio essenziale” e l’inserimento nella lista Arca del Gusto di Slow Food – e una non efficiente organizzazione commerciale sono alla base di una debolezza della coltura del bergamotto, cui vanno aggiunti l’età media degli impianti, prossimi alla senescenza. Vanno anche considerati i fenomeni di dissesto idrogeologico in prossimità delle fiumare.
7. Riviera dei Cedri
(Comuni di Santa Maria del Cedro, Scalea, Orsomarso, Santa Domenica Talao)
Il paesaggio costiero delle coltivazioni di cedri interessa circa 635 ha lungo la costa tirrenica. La Riviera dei Cedri rappresenta un paesaggio altamente significativo, non solo per le caratteristiche di unicità della coltura, ma anche per le lontane origini storiche della stessa. Gli Ebrei si erano imbattuti nel cedro durante la cattività babilonese (585-539 a.C.) e, dal 136 a.C., cominciarono a usarlo per la Festa dei Tabernacoli diffondendolo dopo la diaspora, in tutto il Mediterraneo, compresa la Calabria dove era arrivato con i Greci, già nel III secolo a.C. Ancora oggi gli Ebrei restano i più importanti acquirenti dei frutti. La tecnica di coltivazione è volta a proteggere le piante ed i frutti, con pali verticali a ridosso delle piante e altri orizzontali per sistemare a pergolato i rami. I cedri prodotti oggi in queste zone sono riconosciuti quali Prodotti Agroalimentari Tradizionali dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e la tipologia “Liscio di Diamante” fa parte dei prodotti Arca del Gusto di Slow Food. Nonostante la coltura del cedro si sia fortemente ridotta permangono situazioni caratterizzate da una buona integrità paesaggistica. Al Catasto agrario del 1929 si registravano 220 ha a cedro, arrivati a 270 negli anni ‘70, scesi nel 1991 a soli 40 ha e risalita agli attuali 70 ha. Nel 2010 sono stati realizzati due grandi impianti di cedri all’interno di serre coperte da pannelli fotovoltaici, strutture che non conservano nessun elemento del paesaggio storico, ed anzi impattano negativamente dal punto di vista estetico. La principale causa di vulnerabilità è la forte diminuzione della richiesta di cedri, assieme alla sostituzione delle coperture invernali realizzate con stuoie di canne con reti in plastica.