1. Arboreti sui ciglionamenti storici del Monte Somma
(Comuni di Somma Vesuviana, Ottaviano)
L’area comprende una superficie di circa 715 ha di frutteti tradizionali su sistemi di ciglionamenti posti sulle pendici del Monte Somma. La significatività dell’area è legata alle caratteristiche dei sistemi di coltivazione, contraddistinti da sistemi storici di ciglionamenti, di elevato valore agronomico, ambientale e paesaggistico, posti sulle pendici del Monte Summa. Verso l’alto, i frutteti confinano con boschi cedui di castagno e boschi misti mesofili con interessanti nuclei relitti di betulle. Alcuni attribuiscono già a Plinio il Vecchio un riferimento alla presenza dell’albicocco alle pendici del Vesuvio, ma la testimonianza certa della coltivazione nell’area risale al Cinquecento. La varietà di albicocco tipica dell’area è la Pellecchiella (riconosciuta dall’Indicazione Geografica Protetta), a maturazione tardiva e di elevata produttività. Si tratta di una produzione di pregio, molto apprezzata, oltre che dal mercato locale, anche dalla grande distribuzione, con una domanda di mercato crescente. L’area presa in esame si presenta nel complesso integra, con la struttura dei ciglionamenti ancora ben definita lungo le pendici anche se molti di essi sono ricoperti dalla vegetazione boschiva sviluppatasi in seguito all’abbandono. Maggiori problematiche sono legate alle tecniche di protezione dalla grandine, attualmente basate su reti in plastica a forte impatto visivo. Per la risoluzione del problema il parco ha siglato un protocollo con le associazioni professionali per la ricerca di soluzioni a maggiore compatibilità paesaggistica. Per quanto riguarda la vulnerabilità l’area appare sottoposta a dinamiche di trasformazione contrastanti, con il prevalere di processi di abbandono colturale in corrispondenza dei versanti alti, e di intensificazione colturale e urbanizzazione nelle fasce pedemontane.
2. Colture promiscue della bassa Irpinia
(Comuni di Montemiletto, Taurasi, Luogosano)
Si tratta di un mosaico paesaggistico collinare caratterizzato da una molteplicità di usi del suolo, esteso per circa 1373 ha. La significatività dell’area è legata alla persistenza storica dei paesaggi tipici della collina irpina, caratterizzati da un mosaico composto da una molteplicità di usi del suolo, con un sistema complesso di seminativi, orti arborati vitati, oliveti e aree a vegetazione arborea. La coltivazione tradizionale della vite segue lo schema di impianto dell’alberata taurasina, prevede di maritare la vite ad un acero campestre potato a circa 1,4-1,8 metri da terra o ad un sostegno morto; i tralci vengono fatti correre da un sostegno, vivo o morto, all’altro, così da formare una vera e propria rete a maglia quadrata. L’uso agricolo della bassa collina irpina è storicamente caratterizzato da un rapporto variabile, ma generalmente equilibrato, tra seminativi nudi e arborati, colture legnose specializzate (vigneti, oliveti, noccioleti), legati al frazionamento della proprietà. Per quanto riguarda l’integrità, il paesaggio è ancora caratterizzato da un’apprezzabile vitalità del presidio agricolo, con assetti ed equilibri non completamente alterati dalla trasformazione urbana. La vulnerabilità appare fortemente legata al settore viti-vinicolo, che rappresenta l’attività trainante, con il vino DOCG Taurasi che ha oramai acquisito fama internazionale. Questo potrebbe generare, ed in parte ciò è già avvenuto, fenomeni di intensivizzazione eccessiva che rischiano di destrutturare il mosaico paesaggistico tradizionale a favore di impianti di vigneti moderni a spalliera.
3. Limoneti terrazzati della Costiera Amalfitana
(Comuni di Amalfi, Ravello, Minori, Maiori)
L’area riguarda circa 835 ha di agrumeti posti sui terrazzamenti dei versanti meridionali della Costiera Amalfitana. La significatività del paesaggio è legata non solo alle straordinarie valenze sceniche, ma anche alla importanza storica degli estesi sistemi di terrazzamenti di rilevante valore produttivo, conservativo, storico, ed estetico-percettivo. Si tratta infatti di una imponente opera di ingegneria ambientale la cui edificazione è durata otto secoli, dal XII secolo fino all’inizio del Novecento. Sui versanti terrazzati è oggi praticata la coltivazione dello Sfusato di Amalfi, pregiata cultivar di limone impiegata sia per il consumo fresco, sia per la produzione di sorbetti e liquori. A protezione degli agrumeti sono le tradizionali coperture dette pagliarelle o incannucciate: stuoie di paglia ombreggianti che hanno la funzione durante l’estate di rallentare i processi di maturazione, consentendo l’ottenimento di pregiate produzioni tardive, ma anche il riparo dal vento e dalla salsedine. All’interno dell’area i sistemi terrazzati appaiono ancora sufficientemente integri, anche se i processi di abbandono hanno favorito l’avanzata della vegetazione sui terrazzi e alcune dinamiche urbanistiche hanno compromesso il carattere eminentemente agricolo del paesaggio. In tale contesto si evidenza come la vulnerabilità sia legata soprattutto allo stato dell’agricoltura, che continua ad attraversare una difficile crisi di vitalità, testimoniata da crescenti dinamiche di abbandono colturale. Le ragioni sono strutturali, tutte riconducibili a una insufficiente redditività legata all’onerosità dei sistemi tradizionali di conduzione dei fondi e di manutenzione dei terrazzi, per la quale scarseggiano le maestranze qualificate. Il costo sociale del declino paesaggistico della Costiera è molto elevato, e minaccia di colpire anche le attività turistiche e balneari, che stentano ancora a comprendere come il paesaggio rurale rappresenti la sola risorsa per le economie dell’area.
4. Noccioleti ciglionati del Vallo di Lauro e del Baianese
(Comuni di Baiano, Mugnano del Cardinale, Sperone, Avella, Visciano)
Il paesaggio dei noccioleti ciglionati occupa una superficie di circa 1140 ha. La significatività dell’area è legata alla profondità storica della coltivazione del nocciolo, che indica la Campania come sede più antica in Italia della corilicoltura. Catone, Columella, Plinio, Virgilio e Palladio parlano di una coltivazione estesa e parzialmente anche specializzata. Per il Medioevo vi sono documenti notarili che parlano di “avellanieta”, “abellanieta” e “nocilleta”. Nel corso della seconda metà del Novecento i processi di specializzazione, hanno portato all’estensione nei fondovalle e nella fascia pedemontana della coltivazione del nocciolo, in coltura specializzata o consociato al noce e al ciliegio. La nocciola rappresenta un prodotto tipico dalla tradizione millenaria, una risorsa strategica dell’economia irpina, come testimoniato dallo stesso nome botanico del nocciolo, Corylus avellana, che richiama quello dell’antica città di Abella. L’area si presenta piuttosto omogenea e integra, con un paesaggio fortemente vitale in cui i ciglioni coltivati a nocciolo appaiono ancora ben riconoscibili e conservati nei loro aspetti. Per quanto riguarda la vulnerabilità, vi sono aspetti di fragilità ambientale, legati soprattutto all’impatto delle tecniche produttive sulla conservazione dei suoli. Il controllo delle malerbe nel noccioleto viene infatti tradizionalmente effettuato con il ricorso a ripetute fresature superficiali, che espongono i soffici suoli piroclastici ricoprenti il substrato calcareo all’azione erosiva delle acque di ruscellamento, con tassi di perdita di suolo molto elevati. In questi ambienti la diffusione di tecniche di gestione razionali e un lungimirante investimento manutentivo dovrebbero rappresentare gli obiettivi prioritari delle politiche territoriali, anche ai fini della prevenzione di rischi ambientali che influenzano la sicurezza dei popolosi centri urbani limitrofi.
5. Orti arborati ciglionati delle Colline di Napoli
(Comuni di Napoli, Marano di Napoli)
L’area di circa 218 ha, situata nella località di Chiaiano, è rappresentativa dei paesaggi degli orti arborati ciglionati ad elevata complessità strutturale dei rilievi vulcanici flegrei. La significatività dell’area è legata alla persistenza storica dei sistemi di ciglionamenti arborati, la cui edificazione ha avuto inizio in età angioina (XIII secolo). All’interno dell’area selezionata, nell’intorno della masseria di Chiaiano, è possibile ammirare i ciliegeti vetusti che producono una pregiata varietà locale, dal grande frutto a polpa croccante, denominata “Recca”. Nelle conche e sul versante esterno dell’Archicaldera si estendono gli arboreti specializzati e gli orti arborati a elevata complessità strutturale delle masserie storiche. Ricadono nell’area anche porzioni significative del grande bosco ceduo di castagno della Selva di Chiaiano, un esteso bosco urbano che occupa nel complesso una superficie di circa 250 ha. Per quanto riguarda l’integrità, la porzione inclusa nell’area di studio mantiene uno stato di conservazione medio, anche se come enclave all’interno di aree fortemente urbanizzate. Il paesaggio è stato interessato, nel corso dell’ultimo cinquantennio, da dinamiche di intensa e caotica urbanizzazione, che ha fortemente disarticolato la continuità degli ambienti rurali. Lungo il confine meridionale sono presenti numerose cave di tufo oramai dismesse, che si presentano come maestosi anfiteatri con pareti verticali alte sino a 80 metri, mentre il resto del territorio è disseminato di masserie sorte tra il Seicento e l’Ottocento. Per quanto riguarda la vulnerabilità, la localizzazione di un paesaggio rurale tanto complesso nel cuore della grande conurbazione napoletana comporta una vasta serie di minacce che la rendono assai fragile, in parte legate all’abusivismo edilizio e ai comportamenti criminosi legati al ciclo illegale dei rifiuti.
6. Rimboschimenti storici del bacino del Sele
(Comuni di Bagnoli Irpino, Nusco)
L’area in oggetto, estesa per circa 1958 ha, riguarda gli estesi rimboschimenti e le sistemazioni idrauliche realizzate per la protezione delle sorgenti del fiume Sele, nell’ambito della realizzazione dell’Acquedotto pugliese. La significatività dell’area è determinata da un paesaggio silvopastorale caratterizzato dalla presenza dei rimboschimenti e dalle sistemazioni idrauliche eseguite dal 1903 al 1910 per la realizzazione dell’Acquedotto pugliese, un’opera rappresentativa dell’azione dello Stato per il progresso dell’agricoltura meridionale. I lavori intendevano aumentare la scarsa superficie forestale per assicurare il perpetuarsi delle risorse idriche necessarie ad alimentare l’Acquedotto pugliese, limitando anche i ricorrenti fenomeni franosi. Negli otto anni successivi furono realizzati 515 ha di rimboschimenti, decine di briglie, piccole dighe in pietra per la regimazione dei torrenti, oltre a gradonamenti per la messa a dimora delle piantine. Le specie impiantate furono in massima parte pini neri e ontani napoletani, che si inserivano in un paesaggio silvo-pastorale preesistente caratterizzato invece da boschi di faggio, cerro, carpino nero ed pascoli. A circa un secolo dalla loro realizzazione i rimboschimenti si sono integrati nel paesaggio perdendo lo schema rigido dell’impianto originale, alternandosi con aree aperte e boschi autoctoni, rappresentando un buon esempio di integrazione fra rimboschimenti di conifere, spesso criticati per la qualità paesaggistica, e il paesaggio storico locale legato alla pastorizia. Il paesaggio si presenta oggi in gran parte integro, con tratti di rimboschimenti ancora presenti, come pure le briglie in pietra, oggetto di vari interventi di manutenzione. La vulnerabilità dell’area è legata soprattutto all’evoluzione naturale che vede il progressivo insediamento delle specie forestali autoctone in luogo dei rimboschimenti e degli spazi aperti, favorito anche dal graduale abbandono delle attività di pascolamento.
7. Vite maritata della pianura vulcanica flegrea
(Comuni di Giugliano in Campania, Villa Literno, Trentola-Ducenta, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa)
Il paesaggio della vite maritata occupa una superficie di circa 906 ha. Il maggiore elemento di significatività dell’area è senza dubbio legato ai filari alti di vite maritata al pioppo, discendenti diretti secondo Sereni dell’arbustum galicum etrusco, una tecnica che consiste nel fare arrampicare la vite su un tutore vivo costituito da un albero di pioppo. La vite forma, così, caratteristiche ghirlande su alti pioppi, tra i quali sviluppa lunghi e numerosi tralci in direzione meridiana, per limitare l’ombreggiamento alle colture sottostanti e contribuisce a creare un paesaggio agrario unico nel suo genere. Negli ambienti della pianura vulcanica la vite raggiunge uno sviluppo veramente eccezionale, con alcuni esemplari che hanno tronchi di 20-30 cm di diametro. Ne risulta un continuum di orti consociati, campi a seminativi serrati tra filari di alti pioppi slanciati, o anche di noci, tra i quali si distendono come ragnatela i tralci delle viti. L’integrità dell’area è compromessa nel suo assetto paesaggistico per essere letteralmente incastonata nella disordinata conurbazione che unisce oramai Caserta con Napoli. In tale contesto, anche gli ordinamenti produttivi agricoli hanno subìto una significativa evoluzione, con la drastica diminuzione delle colture tradizionali promiscue e la notevole diffusione di seminativi, colture orticole in pieno campo e frutteti. Per quanto riguarda la vulnerabilità bisogna osservare che il sistema colturale della vite maritata, a causa delle particolari tecniche di coltivazione legate a conoscenze tradizionali locali in via di progressiva scomparsa, appare particolarmente minacciato. Oggi infatti la vite maritata e le colture promiscue sono solo un relitto di un paesaggio storico ormai sostituito da colture specializzate. La sua presenza è minacciata oltretutto da disordinati fenomeni di urbanizzazione con un quadro sociale che presenta gravi e ben noti problemi di legalità.