1. Comprensorio di bonifica Valli Le Partite
(Comune di Mirandola)
L’area, estesa per 942 ha, rappresenta un importante esempio di paesaggio creato dalle attività di bonifica, caratterizzato dalla presenza del sistema di canalizzazioni storiche e di edifici tradizionali adibiti all’allevamento dei cavalli. La significatività del paesaggio delle Valli Le Partite risiede nel ruolo di testimonianza storica della lotta continua tra l’uomo e l’acqua, allo scopo di creare aree da destinare all’agricoltura, che ha prodotto un sistema di canali e arginature ancora oggi osservabili, assieme a edifici e altre opere idrauliche che ancora connotano il paesaggio locale. Le opere di bonifica furono realizzate fin dall’epoca medievale, quando si decise di destinare all’agricoltura quelle aree che altrimenti rimanevano coperte dall’acqua per quasi tutto il corso dell’anno. Gli interventi che modificarono in maniera più significativa l’area delle Valli mirandolesi vennero realizzati tra il Settecento e il Novecento. Alla prima metà dell’Ottocento risalgono i particolari edifici a pianta poligonale, chiamati barchessoni, destinati al riparo degli equini e del personale adibito alla cura degli stessi animali, che divennero uno degli elementi più significativi dal punto di vista insediativo. Per ciò che riguarda l’integrità, pur essendo caratterizzata dalla presenza di colture agrarie altamente meccanizzate assai diverse dagli ordinamenti colturali del paesaggio storico, l’area delle Valli mantiene ancora tracce riconoscibili del sistema dei canali. Dei sette barchessoni ottocenteschi solo quattro sono sopravvissuti, di cui tre, quelli meglio conservati, all’interno dell’area di studio: il Barchessone Vecchio, il Barchessone Barbiere e il Barchessone Portovecchio. L’opera di allevamento delle razze equine andò diminuendo con la fine della seconda guerra mondiale, fino a scomparire quasi completamente negli anni Cinquanta.
2. Oliveti della Valle del Lamone
(Comune di Brisighella)
L’area considerata è costituita da un mosaico agro-forestale caratterizzato da oliveti tradizionali, esteso per circa 645 ha. La significatività del paesaggio è legata soprattutto alla presenza di oliveti tradizionali disposti sulle pendici collinari in riva sinistra, caratterizzati da lunga persistenza storica, accanto ai quali si trovano ampie aree coltivate a vigneti e frutteti, disposti prevalentemente sulla riva destra del fiume. La cittadina di Brisighella, di origine medievale, rappresenta il centro di maggior importanza della valle, e la coltivazione dell’ulivo è oggi testimoniata dal Museo del lavoro del contadino, ospitato su una rocca del XV e XVI secolo. L’area presenta una delle realtà olivicole più interessanti dell’Italia del Nord, con testimonianze sulla produzione risalenti al XV secolo. La piccola produzione locale ha caratteristiche di ottima qualità, l’olio è stato il primo ad avere il riconoscimento DOP, con la denominazione Brisighella DOP. L’attuale uso del suolo agricolo presente sulle colline può essere riassunto in quattro tipologie: seminativi, prati stabili, frutteti, in particolare piantagioni di kiwi, e vigneti/oliveti. Per quanto riguarda l’integrità, il paesaggio si presenta ancora non eccessivamente influenzato dai processi di intensivizzazione della coltura olivicola. Gli impianti presentano densità variabile e si alternano a campi coltivati e vigneti che formano curiose trame di boschi e di coltivi. Dal punto di vista della vulnerabilità la forte pressione edilizia e la forte richiesta di approvvigionamento idrico per soddisfare le esigenze delle coltivazioni intensive di kiwi, particolarmente esigenti in termini di quantità d’acqua necessaria per la loro crescita, hanno già in parte compromesso alcuni degli elementi del paesaggio della valle.
3. Partecipanze di Cento e Pieve di Cento
(Comune di Cento)
Il paesaggio delle Partecipanze di Cento e Pieve di Cento si estende per circa 1030 ha e riguarda gli insediamenti rurali e la suddivisione dei campi risultanti dalle bonifiche, rappresentativi di una delle ultime forme di proprietà collettiva, di origine medievale, ancora presenti in Italia. La significatività del paesaggio è legata alla persistenza storica di alcuni elementi legati alla divisione dei campi, agli insediamenti rurali di origine medievale e alla forma di proprietà, che rendono le Partecipanze ancora identificative del paesaggio storico della bassa Pianura Padana. Secondo regole ancora oggi immutate, il patrimonio fondiario collettivo che le caratterizza viene periodicamente suddiviso, mediante sorteggio, tra i legittimi discendenti maschi delle antiche famiglie legate a questi territori, gli unici ad averne diritto. Riguardo l’integrità, alcune delle caratteristiche principali delle Partecipanze agrarie sono rimaste pressoché immutate nei secoli, mantenendo un significato rilevante per l’economia agricola e per il contesto sociale. Esse rappresentano una delle ultime forme di cooperazione e solidarietà fra gruppi sociali legata alla lavorazione della terra, nonostante il costante aumento della grande proprietà fondiaria e delle aziende private. Le colture presenti sul territorio hanno subìto evidenti trasformazioni a causa del passaggio dalla coltivazione della canapa a monocolture industriali sempre più specializzate e intensive. La maglia insediativa e poderale è però ancora presente, rappresentando una testimonianza evidente di integrità culturale storica e sociale e fornendo una perfetta documentazione di un passato secolare. La vulnerabilità dell’area è legata alla espansione edilizia, che sta trasformando l’intera zona in un paesaggio periurbano continuo, e alle ulteriori trasformazioni colturali che possono portare alla cancellazione dei caratteri distintivi del paesaggio storico.
4. Pineta di San Vitale
(Comune di Ravenna)
L’area riguarda una porzione della antica pineta di Ravenna, estesa per circa 2062 ha, che sorge sul litorale romagnolo. La significatività dell’area riguarda la persistenza storica plurisecolare della pineta, sebbene essa oggi presenti numerose trasformazioni della sua struttura originale, rappresentando un caso emblematico del rapporto problematico fra paesaggio forestale storico e aree protette. La pineta comprende il residuo più settentrionale e di maggiore ampiezza dell’antica pineta di Ravenna risalente all’epoca romana imperiale, durante la quale venne impiantata per la produzione del legname necessario alla costruzione di navi. Con la caduta dell’impero romano iniziò il lungo dominio monastico su tutte le pinete del litorale. I monaci vi esercitavano un dominio assoluto, consentendo alle popolazioni soltanto il diritto di pascolo e di legnatico, oltre alla caccia e alla pesca. Con i primi del Novecento iniziò a emergere un’idea completamente nuova circa la considerazione in cui doveva essere tenuto questo angolo della Romagna. L’idea che emerse fu quella di iniziare a considerare come monumenti nazionali non solo gli edifici e le opere d’arte, ma anche gli elementi definiti naturali, sebbene anch’essi risultato dell’azione dell’uomo come nel caso della pineta. Grazie a ciò la pineta riuscì a sopravvivere. L’integrità dell’area presenta caratteri contraddittori. Il pino domestico, con la caratteristica chioma a ombrello che lascia sgombro lo spazio sottostante, consentendo anche la fruibilità turistica, è ormai affiancato ad altre specie quali farnia, pioppo, frassino, leccio, insieme a un fitto sottobosco, che spesso non consente nemmeno di percorrere la pineta, che si presenta ormai come un bosco misto. Si può quindi affermare che, nonostante il mantenimento di alcune delle sue principali caratteristiche, l’integrità è compromessa per quanto riguarda la composizione specifica, per la mancanza di una gestione finalizzata al mantenimento delle caratteristiche storiche.
5. Tenuta della Diamantina
(Comune di Vigarano Mainarda)
Nella campagna adiacente a Vigarano Pieve si erge tra distese di campi arati e moderni frutteti specializzati il complesso di edifici rurali della Diamantina, così chiamata in ricordo di uno degli emblemi della casa d’Este, il diamante. La significatività dell’area risiede nella conservazione dell’insediamento rurale della Diamantina che risale alla fine del Quattrocento e che originariamente comprendeva una tenuta di circa 1600 ha. L’area conserva le caratteristiche tipiche delle terre bonificate, modificate dall’uomo nel corso dei secoli con la creazione di canali di drenaggio allo scopo di assecondare il naturale deflusso delle acque. La tenuta Diamantina rimase in mano estense fino alla metà circa del Settecento quando venne ceduta al maresciallo Gianluca Pallavicini che si impegnò a restaurarne sia il patrimonio edilizio sia l’elemento agricolo. Nel 1870 il complesso entrò nei possessi del senatore Silvestro Camerini che riprese l’opera di bonifica. Per quanto riguarda l’integrità la tenuta presenta ancora una composizione che mantiene le caratteristiche tipiche dell’edilizia rurale della bassa Pianura Padana, con un nucleo principale, centro organizzativo della tenuta stessa, oltre a piccoli centri edificati isolati, sparsi nel territorio. Le opere di bonifica, che hanno portato alla realizzazione di questi ampi territori coltivabili, sono ancora oggi parte integrante del nuovo assetto del paesaggio agrario della Diamantina. In particolare, il tracciato rettilineo del Canal Bianco, asse centrale del sistema scolante, è lo stesso che appare in una mappa della zona dei primi del Cinquecento. La vulnerabilità dell’area risiede nella possibilità che l’espansione urbanistica incida negativamente sulla struttura insediativa e sul suo rapporto con il paesaggio circostante.