1.Castagneti da frutto dell’Alta Val Bormida
(Comuni di Calizzano, Murialdo, Osiglia, Bormida)
I castagneti da frutto dell’Alta Val Bormida consistono in un’area estesa per 2283 ha. La significatività dell’area risiede nella persistenza storica della coltivazione del castagno e nell’importanza che ha sempre rivestito per l’economia locale, non solo di sussistenza. Tale permanenza è dimostrata dal fatto che ancora oggi si coltiva una varietà che fornisce un prodotto legato in modo indissolubile al territorio locale: la castagna di varietà gabbina (o gabbiana), riconosciuta come Prodotto agroalimentare tradizionale dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e fa parte dei Presìdi Slow Food. Il paesaggio è caratterizzato non solo dalla presenza di castagni, in parte con caratteri monumentali, ma anche dalla diffusione di abitazioni rurali isolate, realizzate in corrispondenza di piccole radure, coltivate a ortaglie, alberi da frutta o vite, per la sussistenza nel nucleo familiare insediato. I manufatti, in pietra o mattoni pieni, utilizzati per l’essiccazione delle castagne (tecci), si presentano isolati o integrati nelle abitazioni, e hanno un solo locale, ove è presente un focolare centrale e, a un’altezza di 2-3 m, un soffitto di graticci in legno (graia). In Alta Val Bormida e nelle valli limitrofe, già nel Medioevo la coltura del castagno non apparteneva all’autoconsumo, ma costituiva una vera e propria attività commerciale. Il paesaggio della castanicoltura si presenta abbastanza integro. In generale l’abbandono della castanicoltura nel corso del tempo ha indirizzato i boschi verso una composizione mista nella quale sono presenti altre specie. Sono comunque presenti popolamenti regolari e ben governati, dove si conservano in efficienza piante plurisecolari. Per quanto riguarda la vulnerabilità, oltre ai problemi di abbandono, in tutti i castagneti è venuta a cessare l’integrazione tradizionale con il pascolo, che permetteva di tenere il sottobosco pulito. Si segnala infatti la diffusione di significativi attacchi da parte di insetti patogeni, come il cinipide galligeno (Dryocosmus kuriphilus).
2. Oliveti a bosco di Lucinasco
(Comuni di Lucinasco, Borgomaro)
L’area, che si estende per 499 ha, è situata nella Valle del Maro sul versante occidentale del bacino dell’Impero. Il paesaggio degli oliveti a bosco è particolarmente significativo non solo per la persistenza storica, ma anche per le tipologie degli impianti e per l’opera di rimodellamento dei versanti che è stata necessaria per poter condurre coltivazioni su pendenze piuttosto accentuate, dove si producono olive della varietà “taggiasca”. Gli agronomi liguri del XIX secolo già conoscevano il sistema colturale detto “oliveto a bosco”, caratterizzato da esemplari di grandi dimensioni, anche a sesto di impianto sparso. Storicamente il rapporto dell’ulivo con le pratiche pastorali ha contribuito a modellare il paesaggio agrario con la presenza delle caselle, costruzioni tronco-coniche in pietra a secco utilizzate da pastori e contadini. L’integrità di questo paesaggio rurale è dovuta al mantenimento dei terrazzamenti con gli olivi. Sono attive aziende familiari che conservano uno stretto legame con il territorio, e l’introduzione della DOP per l’olio di Lucinasco ha motivato l’attività di queste aziende. La vulnerabilità del paesaggio è legata alla scomparsa del pascolo negli oliveti, se non per qualche raro capo ovino, più che all’abbandono della olivicoltura. Altri elementi di vulnerabilità sono legati alla diffusione di tecniche di recupero degli oliveti estranee alle pratiche tradizionali e che modificano l’architettura della chioma.
3. Orti e castagneti irrigui terrazzati dell’Alta Valle Sturla
(Comune di Borzonasca)
I castagneti e gli orti irrigui costituiscono un sistema di aree multiple all’interno di un’area di 756 ha, localizzata dalle pendici meridionali del Monte Aiona. La significatività dei castagneti terrazzati dell’Alta Valle Sturla e del sottobacino del Penna, è dovuta alla presenza di una rete di acquedotti per l’irrigazione dei terrazzamenti, che danno luogo a un paesaggio unico nel suo genere. Alla coltivazione del castagno e delle colture orticole tipiche di molte zone appenniniche sono associati interventi di rimodellamento di versanti e addirittura di sistemazioni idrauliche, le parti a quote più elevate sono invece occupate da ampi pascoli, il tutto in un contesto di grande interesse scenico. Il paesaggio dei castagneti e degli orti irrigui terrazzati si mantiene oggi solo parzialmente integro rispetto alla diffusione dei secoli scorsi, poiché alcune aree sono in abbandono. La rete irrigua è ancora attiva negli orti e nei castagneti da frutto su terrazze diverse, spesso contigue, in prossimità dei nuclei abitati di Perlezzi, Caregli, Caroso, Valle Piana, Prato Sopralacroce. Le cause maggiori di vulnerabilità sono da ricercarsi nello spopolamento e nell’età avanzata degli abitanti, con il conseguente progressivo abbandono delle particelle coltivate, la mancata manutenzione dei terrazzamenti e la riduzione del numero di bovini e ovini.
4. Orti periurbani della valle del fiume Entella
(Comuni di Chiavari, Lavagna, Cogorno, Carasco, Ne)
Le aree ortive descritte sono costituite da piccole porzioni presenti in maniera frammentaria nel fondo vallivo del fiume Entella, in un’area complessivamente estesa per 313 ha. La significatività dell’area è dovuta alla persistenza di questi ordinamenti colturali storici in vicinanza di centri abitati, che ancora oggi conservano varietà colturali e prodotti tipici, sebbene siano ormai da considerare dei frammenti rispetto alla loro originaria estensione. La piana dell’Entella è ancora caratterizzata da un’agricoltura promiscua in cui, accanto alla viticoltura, trovano spazio coltivazioni orticole riconosciute come prodotti DOP, come il “basilico genovese”, con varietà esclusive della zona fortemente legate al territorio, come il “broccolo lavagnino”, la “radice di Chiavari”, il “pisello di Lavagna” e il “cavolo Gaggetta”. Sino alla metà del secolo scorso l’orticoltura si sorreggeva grazie a un complesso sistema irriguo che comprendeva i bei, cioè canalizzazioni il cui utilizzo veniva regolamentato attraverso appositi statuti, e pozzi a bilanciere chiamati cigheugne. L’area presenta ridotti aspetti di integrità, concentrati soprattutto nella parte di Lavagna, dove gli orti sono stati preservati dall’espansione urbana. Il paesaggio legato alle colture orticole presenta un’elevata vulnerabilità, essendo sempre più schiacciato dall’espandersi delle aree urbanizzate. L’età avanzata della maggior parte degli agricoltori che continuano a praticare l’orticoltura anche al di fuori di un orizzonte economico può essere un problema per il mantenimento del paesaggio e per la preservazione delle varietà locali.
5. Prati e pascoli arborati del formaggio di Santo Stefano
(Comune di Santo Stefano d’Aveto)
Si tratta di un’area pascoliva estesa per 1184 ha. La significatività del comprensorio risiede nella presenza di paesaggi che derivano da sistemi agro-silvo-pastorali storici, gravitanti attorno alla foresta del Monte Penna. Il paesaggio presenta una bassa integrità poiché molte zone risultano trasformate a causa dei processi di forestazione seguiti all’abbandono. La vulnerabilità del paesaggio dei prati-pascoli e pascoli alberati è dovuta all’abbandono del ciclo annuale di pratiche agro-silvo-pastorali, cioè a successione di sfalcio, pascolo, ripulitura invernale e uso del fuoco controllato che, in queste aree di particolare tradizione casearia, era a regime negli anni Settanta-Ottanta. L’abbandono ha alterato il rapporto ecologico tra strato erbaceo e alberi, avviando un vasto processo di arbustamento e forestazione con perdita progressiva della biodiversità storica nella flora erbacea, tra cui specie protette dalla legislazione regionale, e innesco di fenomeni erosivi dovuti all’instabilità dei boschi di neoformazione sugli antichi suoli pastorali. Il crollo della produzione casearia si registra a partire dalla fine degli anni Novanta in seguito all’applicazione di normative igienico-sanitarie comunitarie, e la tendenza è amplificata dal mancato ricambio generazionale dei produttori. Un altro fattore di vulnerabilità è costituito dai rischi elevati di nuove privatizzazioni, con erosione dei diritti collettivi, che andrebbero invece potenziati ed estesi, almeno in forma sperimentale ai fini della gestione dei pascoli.
6. Terrazze a noccioleto del Tigullio
(Comuni di Mezzanego, San Colombano Certenoli)
I noccioleti terrazzati si trovano all’interno di un’area estesa per circa 844 ha. I noccioleti terrazzati costituiscono una tipologia colturale di grande significato, testimoniando la persistenza storica di un’attività di origini antiche, caratterizzata da terrazzamenti di diverse età e struttura, talvolta costruiti su pendii con forte acclività, che hanno modellato il paesaggio dei versanti di buona parte del Tigullio. Vista la frammentazione in piccole aree non contigue e la riduzione della superficie coltivata, il paesaggio dei noccioleti risulta essere scarsamente integro. Tale integrità è assicurata dal fatto che la produzione non è mai cessata e attualmente si assiste a una ripresa, seppure debole, grazie anche alla richiesta per il riconoscimento del marchio IGP con il nome di “Misto Chiavari”, per la tradizionale miscela corilicola. All’interno di questo progetto sono state avviate anche altre attività, come la stipula di accordi con le pasticcerie dei principali centri costieri per la trasformazione diretta del prodotto. Nonostante le azioni di recupero, la vulnerabilità del paesaggio dei noccioleti terrazzati resta elevata, tanto da non poterne escludere la scomparsa in un futuro non troppo lontano, se venissero a mancare le condizioni per il suo mantenimento. Molti noccioleti risultano oggi in stato di abbandono, e altri sono stati recentemente convertiti in uliveti. Ulteriori rischi sono legati all’età avanzata degli agricoltori e all’alto costo della produzione, attuata senza raccolta meccanica, e alla mancanza di un mercato consolidato per il prodotto locale.
7. Vigneti terrazzati delle Cinque Terre
(Comuni di Vernazza, Riomaggiore, La Spezia)
I terrazzi a vite bassa si estendono in due aree vicine tra loro, per una superficie complessiva di 989 ha. L’area rientra integramente nel Parco Nazionale delle Cinque Terre. La significatività del paesaggio delle Cinque Terre risiede nella sua persistenza storica, particolarmente nella modalità di coltivazione a vite bassa. Le forti pendenze tipiche della Riviera Spezzina hanno fatto sì che le coltivazioni potessero essere svolte solo su terrazzamenti, detti piane, in genere di dimensioni ridotte, sorrette da muri in pietra a secco. Dopo lo spietramento del terreno e la movimentazione della terra con cesti, venivano costruiti sistemi di raccolta delle acque derivate dai fossi o meteoriche; venivano anche edificati dei casotti, che ospitavano la cantina e i coltivatori che vi soggiornavano in tempo di vendemmia. La produzione è orientata verso vini di alta qualità, come i Cinque Terre DOC e lo Sciacchetrà DOC. Nonostante l’abbandono di parte delle terre, la maggior parte dei vigneti terrazzati restano tutt’oggi integri e in funzione nelle sue componenti più tradizionali. Il modello sancito dalla consuetudine non ha perso il suo senso: piane a vite bassa, muretti ripristinati secondo i modi che li hanno creati, casotti ancora a servizio della viticoltura. Il più antico motivo di vulnerabilità sono le frane, fenomeno accentuatosi a partire dal dopoguerra a causa dell’abbandono di alcuni terrazzamenti e del venir meno delle opere di manutenzione dei muri di sostegno, a cui fa seguito la riconquista dei suoli da parte della vegetazione spontanea.