Le vicende del Piano di Indirizzo Territoriale sono un’altra tappa del conflitto che da un paio di decenni avviene in Italia quando da generiche affermazioni a favore del paesaggio si tenta di passare a qualcosa di più concreto.
Le raccomandazioni riguardo alla valorizzazione del paesaggio rurale del PIT sono del tutto in sintonia con i risultati delle indagini promosse già alla fine degli anni ’90 proprio dal settore agricoltura della Regione Toscana. In sostanza, sappiamo da tempo cosa sta accadendo, e cioè che l’industrializzazione dell’agricoltura e l’abbandono mettono a rischio una importante risorsa economica, ambientale e sociale, oltre che l’immagine della Toscana nel mondo. I problemi sono però rimasti gli stessi di quegli anni, quando alcuni settori imprenditoriali non in sintonia con quelle analisi reagirono bloccando la possibilità di azioni concrete. Una reazione simile si ebbe quando il paesaggio fu introdotto per la prima volta nel Piano Strategico Nazionale di Sviluppo Rurale del 2007.
Per la verità, mentre nel PIT il paesaggio agrario ha attirato la maggior parte dell’attenzione, la parte sul paesaggio forestale, assai più problematica, è passata quasi inosservata. Più di un milione di ettari di boschi frutto di secoli di storia e del lavoro dell’uomo, come ha scritto il Presidente Rossi per la parte agricola – le pinete litoranee di impianto ottocentesco, le abetine coltivate dai Monaci di Vallombrosa, i castagneti da frutto centenari ecc. – sono stati interpretati riduttivamente come “habitat naturali” e nodi di una rete ecologica. Questo nonostante la Toscana ha ospitato un incontro della Convenzione per la Diversità Biologica e dell’UNESCO la cui dichiarazione finale definisce il paesaggio rurale italiano ed europeo come un prodotto bioculturale modellato dalla storia che va gestito come tale. Non è chiaro perché il PIT non abbia valorizzato una posizione delle Nazioni Unite che offriva la possibilità di introdurre una visione innovativa ma molto in sintonia con il nostro paesaggio, tanto più che la diversità bioculturale è anche l’interpretazione proposta dall’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale per l’Italia.
Si tratta di un tema che andrà affrontato perché nel frattempo sono state avviate le procedure per l’inserimento delle prime quattro aree della Toscana nel Registro Nazionale dei Paesaggi Storici: Val d’Orcia, Montagnola Senese, Castagneti dello Scesta e Moscheta. Se per la Val d’Orcia siamo nel solco del riconoscimento già esistente dell’UNESCO (ma il Registro è molto più attento alle pratiche agricole), per i castagneti non si parla certo di habitat naturali, non di interesse del registro, ma di paesaggi modellati dalla storia. Vedremo come si integreranno con l’interpretazione del PIT per i boschi e soprattutto con i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), che sono la vera cartina di tornasole per il paesaggio rurale.
Se la Pianificazione propone indirizzi, le Politiche Agricole riverseranno infatti nel territorio rurale nazionale più di 55 miliardi di euro, in gran parte distribuiti tramite i PSR, di cui si devono dotare tutte le regioni. Come verrà impiegato questo grande volume di denaro, che proviene dalle tasse di tutti i cittadini (i fruitori del paesaggio) è di fondamentale importanza per capire le reali intenzioni della politica. E’ anche da questo che si potrà giudicare in concreto se si considera il paesaggio un valore, o lo si vuole utilizzare solo come dotta citazione ogni qualvolta si presenta la Toscana e l’Italia al mondo, quando si vuole vendere una bottiglia di vino, di olio, o un soggiorno turistico.