Il problema degli oliveti pugliesi attaccati dalla Xylella Fastidiosa, sembrerebbe proporre una questione meramente tecnica, ma il tema è più ampio. Il patrimonio olivicolo della Puglia è realmente eccezionale e con molte peculiarità, come d’altra parte accade per tutto il paesaggio rurale nazionale, caratterizzato da una grandissima varietà. Abbiamo oliveti dalla Sicilia al Trentino, ma anche se tutti producono olio, i paesaggi sono tutti diversi. Riguardo a quelli pugliesi, si contraddistinguono per avere spesso piante di dimensioni e portamento monumentale, con esemplari centenari, spesso oltre i mille anni di età, un’alta densità di impianto e per la frequente presenza di capanne in pietra con tetto a tholos. Rispetto alla Toscana, ad esempio, il paesaggio pugliese ha storicamente una maggiore densità di piante e esemplari di più grandi dimensioni. In Toscana la combinazione di fattori quali la grande gelata del 1985 che portò alla potatura al piede di migliaia di olivi centenari e le nuove tecniche che portano ad olivi bassi, con una curiosa chioma pendula e una alta densità di piante ad ettaro, hanno fatto perdere molti aspetti del paesaggio olivicolo tradizionale. Si tratta, come spesso accade, di soluzioni tecnologiche che come per i terrazzamenti trasformati in colture a rittochino, vengono spesso proposte come “inevitabili”, ma non lo sono. In realtà, sia con gli olivi che con le viti, si coltiva tranquillamente anche sui terrazzamenti, e le intensivizzazioni agricole poco hanno potuto per evitare la crisi del settore olivicolo. Più in generale, è il miglioramento qualitativo del processo produttivo assieme alla qualità del paesaggio la strada da scegliere, non certo l’omogeneizzazione in senso industriale, come accaduto in Spagna, che non a caso a Bruxelles è fra i sostenitori dell’abbattimento degli oliveti italiani affetti dalla malattia, come riporta oggi il quotidiano La Stampa. Quello che non viene messo in evidenza è il fatto che gli attacchi batterici vengono facilitati dalla mancanza di una gestione accurata degli oliveti e dal crescente abbandono delle pratiche agricole. E’ quindi meglio riflettere prima di attuare soluzioni draconiane, quali tagli generalizzati per creare barriere fisiche alla diffusione della malattia. Salvare solo la produzione esporrebbe infatti tutta la nostra olivicoltura, non solo quella pugliese, ad una perdita di competitività, che non può che basarsi anche sulla qualità del paesaggio, elemento strategico anche per turismo ed agriturismo. Tagli generalizzati, oltre a distruggere il paesaggio, favorirebbero ulteriormente quelle industrie agroalimentari che si distinguono nell’importare olio dall’estero e rivenderlo con etichettature quantomeno “vaghe”, contribuendo all’abbandono dei nostri oliveti tradizionali e all’impianto di oliveti industriali. D’altra parte, se Coldiretti fra tutti i possibili argomenti riguardo a questa emergenza indica che è a rischio “la Domenica delle Palme” capiamo tutti perché il paesaggio olivicolo italiano non è presente in EXPO e chi scrive è riuscito a malapena ad inserire un paesaggio olivicolo, greco fra l’altro, nel padiglione ZERO. In una recente indagine in cui sono stati visitati alcuni agriturismi in zone strategiche della Puglia, si è evidenziata la grande qualità della ospitalità, sia dal punto di vista ricettivo che del cibo, ma una carenza di informazioni sugli oliveti monumentali presenti, che sono addirittura inventariati dalla Regione Puglia. In Toscana la situazione non è migliore come evidenziato dalla grandissima difficoltà di legare agricoltura e paesaggio nel Piano Paesistico. In realtà ci sono molti modi di fare agricoltura e ciò andrebbe riconosciuto. Ad un recente convegno alla New York University di Firenze ha suscitato curiosità il racconto di due proprietari che dopo avere recuperato ben 100 ha di una azienda agricola abbandonata nel Chianti e volendo soprattutto valorizzare il paesaggio tipico, avevano difficoltà a prendere la patente di agricoltore professionale perché l’esame non è congegnato per un agricoltore interessato a tale obiettivo, risultando non preparati. Non tutte le istituzioni del settore sono però su questa linea. L’Associazione Nazionale Città dell’Olio ha messo in primo piano la valenza paesaggistica della nostra olivicoltura, proponendo circa 40 paesaggi olivicoli da tutta Italia per il Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici e delle Pratiche Tradizionali. Inoltre, la nuova politica agricola europea impone agli stati membri di individuare e salvaguardare gli elementi caratteristici del paesaggio, sta alle regioni dare seguito a tali indicazioni.