Al forum internazionale sul programma FAO dedicato alla protezione dei sistemi agricoli del patrimonio mondiale svoltosi il 19 aprile a Roma, si sono celebrati non solo i nuovi 15 paesaggi rurali inseriti nel programma, ma anche il raggiungimento del numero di 50 siti iscritti e i primi tre siti europei. I siti europei sono la Valle Salado, una zona di produzione di sale nella regione basca, la zona di produzione dell’uva passa della Axarquia, nella regione di Malaga e i paesaggi pastorali di Barroso in Portogallo. Per quanto riguarda l’Italia, le procedure di iscrizione in corso riguardano due siti, le colline vitate di Soave in Veneto e la fascia olivata fra Assisi e Trevi. Gli amici spagnoli e portoghesi sono stati un po’ più veloci di noi, ma questo non dipende solo da una maggiore lentezza della nostra amministrazione e dalla mancanza di sostegno economico alle comunità che si candidano. Le procedure di candidatura dei siti italiani richiedono infatti di essere prima iscritti al registro nazionale dei paesaggi rurali storici per potersi poi candidare alla FAO. Oltre a questo, l’iscrizione al registro nazionale, contrariamente a quanto avviene per iscriversi alla FAO, o nei paesaggi culturali dell’UNESCO, prevede una valutazione molto accurata riguardo all’effettivo mantenimento dell’integrità del paesaggio, che deve rispondere a criteri misurabili. Tutto questo richiede del tempo che si aggiunge a quello normalmente richiesto. Esiste poi una problematica relativa alla differenza fra i paesaggi rurali italiani e quelli di altri paesi, specie quelli in via di sviluppo, che riguarda la notevole presenza di insediamenti rurali, paesi e piccoli borghi che si aggiungono al patrimonio più propriamente agricolo che altri paesi, specie quelli basati sulla cultura del legno, non hanno. Il programma FAO è l’unico programma mondiale di conservazione che riguarda direttamente il paesaggio agrario, una ricerca di tale obiettivo negli altri programmi delle nazioni unite, o dell’Unione Europea darebbe esisto negativo. La produzione di cibo legata alla conservazione dei luoghi e alle pratiche tradizionali, operata dal programma, rifugge da considerazione retoriche legate a generici riferimenti al “territorio” o alla “tipicità”, ma mette in primo piano i produttori e la loro cultura. Sarebbe ora che oltre a fare vedere in TV come si cucina o come si usano gli ingredienti qualcuno chiedesse come sono prodotti e dove. Iniziamo a farlo in un ristorante, specie in quelli molto cari. Dopo i 5 minuti di spiegazione sulla bontà del caprino, o della pasta trafilata al bronzo, una domanda semplice – da dove viene, chi lo produce e come? – metterebbe la maggior parte dei cuochi e dei camerieri in grande difficoltà.