L’iscrizione del colline del Prosecco nella World Heritage List dell’UNESCO ha scatenato un diluvio di commenti, che non si erano mai sentiti per altri paesaggi agrari iscritti. Per non smentire una consolidata tradizione italiana questi mettono insieme politica, ideologia, “sentito dire” e altre amenità diffuse su social , giornali, radio e TV nazionali e locali.
Le critiche alle cosiddette monoculture industriali che caratterizzerebbero l’area iscritta del Prosecco sono poco fondate. Rispetto alla candidatura respinta lo scorso anno, parliamo di una zona caratterizzata da 20% di vigneti e il 70% di boschi, situata in colline medio alte, molto ripide e per questo coltivate con ciglioni. Si tratta di terrazzamenti inerbiti, quindi non in pietra a secco, piuttosto bassi di altezza, descritti almeno dal 16° secolo , dove sono presenti filari singoli di viti.
Il mosaico di piccoli vigneti inframezzati dal bosco , siepi e filari alberati ,è un’altra delle unicità che ha convinto l’UNESCO, essendo legata alla struttura mezzadrile esistente fino dal medioevo, caratterizzata da piccole proprietà di 5-6 ettari. I romani trovarono in veneto la viticoltura in coltura promiscua, che ora non esiste più , ma nei terreni pianeggianti e in bassa collina. Sulle colline alte si svilupparono invece i ciglioni .
Venendo ai risvolti ambientali , è bene intanto ricordare che parliamo di patrimonio culturale UNESCO, non di quello naturale. Nella zona ora iscritta abbiamo una vasta presenza di ecosistemi forestali che mitigano molte problematiche ambientali, oltre a una sistemazione idraulico agraria come i ciglioni, che assicura stabilità idrogeologica. I danni da pesticidi non hanno trovato riscontri per la salute umana in quest’area . Dobbiamo poi ricordare al pubblico meno esperto che non esistono grandi viticolture , dalle Langhe alla Borgogna , dallo Champagne al Douro , tutte iscritte in UNESCO, che non facciano uso di antiparassitari.
In Toscana l’attenzione si concentra ora sul Chianti. Riesumando una iniziativa avviata nel lontano 2003, ma allora sarebbe stato più facile, si punta ora ad una iscrizione, visto che con le Langhe si tratta di un’altra grande viticoltura storica italiana. In questa area il mosaico agricolo mezzadrile ha iniziato a dissolversi già negli anni ‘60-‘70, così come la coltura promiscua si è trasformata in monocolture orientate lungo la massima pendenza delle colline- il rittochino- più spesso con filari a spalliera, soprattutto di origine francese, tipo il Guyot.
Alcune zone tipo quella di Lamole , vicino Greve in Chianti, hanno mantenuto una certa quantità di terrazzamenti in pietra, e viti ad alberello, cosi come in altre sono presenti sistemazioni storiche dei terreni descritte in vari trattati fra ‘700 ed ‘800.
L’intensità dei fenomeni di trasformazione del paesaggio chiantigiano è stata oggetto di studi scientifici della Facoltà di Agraria di Firenze almeno dagli anni ’90. Lamole è iscritta nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici del Ministero dell’Agricoltura , così come le colline del Prosecco, la cui iscrizione nell’UNESCO non ha che riproposto l’area iscritta nel registro.
Il primo dossier , respinto dall’UNESCO , aveva ignorato le caratteristiche dell’area candidata nel registro, mentre l’UNESCO, nei suggerimenti forniti per scrivere il nuovo dossier , ha fatto chiaramente riferimento a questa lista nazionale , spesso ignorata, ma anche al programma FAO sul paesaggio agrario (GIAHS), che ha più siti agricoli iscritti dell’UNESCO. In realtà, vengono richiesti pareri al Ministero Agricoltura per tutti i siti agricoli proposti per UNESCO, cosa che spesso i proponenti ignorano .
Quello che il paesaggio del Chianti possiede è una ricca dotazione di castelli, case coloniche e borghi storici che punteggiano il territorio, spesso inseriti in un paesaggio armonioso e in parte ancora storico, oltre ad una notorietà a livello di turismo rurale superiore a qualunque altra zona. Purtroppo l’UNESCO è sempre meno incline ad approvare siti viticoli.
Il Prosecco inizialmente puntava sul vino ed infatti stato respinto , è col paesaggio che la candidatura è riuscita, non senza difficoltà. Si tratta, lo diciamo da tanto , di un valore aggiunto nn riproducibile dalla concorrenza fondamentale per l’italia . Chi produce prodotti tipici , dal grano al vino, spesso lo ignora , pensando trattarsi di questione ininfluente.
L’UNESCO ha ricordato che non è così, ma anche gli studi sugli orientamenti dei consumatori lo confermano. Se, come dicono i critici, il prosecco ha fatto una operazione commerciale – sarebbe peraltro interessante sapere quale sito iscritto nn l’ha fatto – puntando non più sul vino ma sul paesaggio, forse ha fatto la cosa giusta.